Il film
Ma che colpa abbiamo noi è un film del 2003 diretto da Carlo Verdone. Il titolo del film richiama quello della canzone Che colpa abbiamo noi dei The Rokes (1966). Nel cast troviamo anche Margherita Buy, Anita Caprioli, Stefano Pesce, Lucia Sardo, Antonio Catania.
La trama
Otto persone frequentano lo stesso gruppo psicoterapico tenuto da un’analista molto anziana. Durante una seduta, la professionista, immobile e in silenzio nella conduzione del gruppo, muore per arresto cardiaco. Gli otto se ne accorgono solo quando, interpellata, non risponde.
Il gruppo decide allora di proseguire l’esperienza con un altro terapeuta. La ricerca risulta tuttavia infruttuosa perché quelli scelti, dopo una serrata consultazione fra i sette partecipanti rimasti, si rivelano non adatti. I sette decidono allora di cimentarsi in una sorta di “autogestione” della terapia di gruppo, che verrà condotta a turno nelle case dei partecipanti…
Il mistero della sceneggiatura
Alla realizzazione della sceneggiatura ha collaborato un vero psicoanalista (indicato nei titoli di coda). Alcuni dei personaggi del film corrispondono a reali casi clinici, così come alcuni spunti sono ripresi da fatti o eventi reali. Uno di questi casi fu lo spunto per un evento molto singolare.
Lo psicanalista che collaborava con Verdone, si era ispirato ad un proprio paziente, omettendo ovviamente qualsiasi particolare lo rendesse riconoscibile. Quando Verdone e gli altri autori gli diedero la sceneggiatura per una lettura ed eventuale revisione finale, si rese conto che gli sceneggiatori avevano messo al personaggio il nome, il soprannome con cui veniva chiamato in famiglia, l’età e molte situazioni personali che erano esattamente identici al caso reale a cui lui si era ispirato.
Quelle caratteristiche del personaggio dovettero essere riscritte con urgenza, perché la persona in questione avrebbe potuto benissimo ipotizzare (e denunciare) che lo psicanalista in questione, il suo, aveva reso di dominio pubblico la sua vicenda. Lo psicanalista collaboratore non seppe mai spiegarsi come accadde, anche perchè gli sceneggiatori avevano operato sulla base esclusiva della propria ideazione, ed era impossibile che conoscessero la persona in questione, e, tanto meno, che citassero volontariamente dati conosciuti e così riservati.
I particolari in questione erano però molti, e questo fece pensare allo psicanalista, di estrazione junghiana, che Carlo Verdone doveva avere un “profondo contatto con l’inconscio collettivo”, come solo ad alcuni grandi artisti sembra accadere.
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