Kurt Cobain avrebbe compiuto oggi 53 anni.
Il compianto leader dei Nirvana non è stato solamente figura cardine della scena del rock alternativo degli anni Novanta, ma un vero e proprio “portavoce” di un’intera generazione, la generazione X e capace di diventare un’icona culturale. Tre album incisi, Bleach (1989), Nevermind (1991) e In Utero (1993), tre pietre miliari.
Duole sempre tanto ricordare quanto presto ci abbia lasciati, a soli 27 anni, al culmine di una parabola discendente provocata dalla dipendenza da eroina e dalla depressione. Mentre la sua vita professionale aveva raggiunto l’apice grazie all’incredibile successo dei Nirvana, la vita privata di Cobain era sempre più minata dalla depressione e dall’abuso di droga. Cobain iniziò a preoccuparsi che la sua musica stesse venendo male interpretata e strumentalizzata a causa del successo che i Nirvana avevano raccolto. Il suo consumo di eroina iniziò ad aumentare a dismisura: la droga si rivelò il suo metodo per fuggire dalle pressioni dei media e dai suoi problemi di stomaco. Per controparte la dipendenza da eroina cominciò a isolarlo dagli altri membri del gruppo e a farlo litigare sempre di più con la moglie Courtney Love.
La morte
Il declino cominciò da marzo 1994 quando subito dopo l’ultimo concerto del tour europeo dei Nirvana a Monaco, in Germania, a Cobain vennero diagnosticate una bronchite e una laringite. Il 2 marzo volò a Roma per prendersi una settimana di riposo. Fu raggiunto da Courtney e da Frances Bean e prese una suite all’hotel Excelsior di via Veneto. Tuttavia durante la notte Love si accorse che il marito era in overdose dopo aver ingerito cinquanta pasticche di Rohypnol mischiate a champagne. Cobain fu portato prima al pronto soccorso e successivamente inseguito dai giornalisti presso il Policlinico Umberto I. Salvato grazie a un cocktail di farmaci, fu trasferito la mattina seguente all’American Hospital. Qui rimase in coma farmacologico per tutta la notte, ma dopo qualche giorno si riprese. Love dichiarò in seguito che l’incidente era stato un primo tentativo di suicidio del marito.
Una volta tornato negli Stati Uniti diventò un eremita che passava sempre più tempo da solo a drogarsi. Il 18 marzo Love telefonò alla polizia temendo il suicidio del marito, che si era chiuso a chiave in una stanza armato di una pistola. Al suo arrivo la polizia confiscò alcune armi da fuoco e una bottiglia di pillole appartenenti a Cobain, di cui tuttavia negò di essere il padrone assicurando di non aver tentato il suicidio, ma di aver voluto fuggire dalla moglie. Lo stesso mese Cobain accettò di sottoporsi a un programma di disintossicazione. Il 30 marzo Cobain arrivò all’Exodus Medical Center di Los Angeles. Nel pomeriggio del 1º aprile una delle tate di Frances Bean la portò per l’ultima volta presso di lui per un incontro di un’ora. Quella notte Cobain uscì dall’edificio per fumare una sigaretta, scavalcò un muro alto due metri, prese un taxi e si fece portare all’aeroporto, dove prese un aereo per Seattle. Nei giorni seguenti Cobain fu intravisto da parecchi nel circuito di Seattle, ma molti dei suoi conoscenti ignoravano dove si trovasse. Il 3 aprile Love contattò un investigatore privato di nome Tom Grant e lo incaricò di ritrovare il marito. Il giorno seguente diffuse un comunicato per la scomparsa di Cobain sotto il nome della madre di Cobain.
La mattina dell’8 aprile 1994 il corpo di Cobain fu trovato da Gary Smith, un elettricista della Veca Electric, nella serra presso il garage nella sua casa sul lago Washington. Smith vi giunse per installare l’illuminazione di sicurezza e vide il corpo steso all’interno, morto a causa di un colpo di fucile autoinflitto alla testa, partendo dalla bocca. Accanto a lui, anche una lettera ‘di suicidio’ o forse solo un addio al mondo della musica: diretta all’amico immaginario della sua infanzia, “Boddah”, Cobain citò una canzone di Neil Young, Hey Hey, My My (Into the Black): «It’s better to burn out than to fade away» (“È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente”).
Ecco alcune frasi dette dai suoi familiari, amici e stelle del rock:
“Ditegli che è un coglione, d’accordo? Ditegli solo ‘coglione’. ‘Sei un coglione’, ditegli. E che lo amo”
(Courtney Love, alla sua orazione funebre)
Quando Kurt è morto, mi sono sentito perso, annebbiato. La musica alla quale avevo consacrato la mia vita mi aveva tradito. Avevo perso la voce, non ascoltavo la radio e avevo messo da parte la batteria. Non avrei sopportato di sentire la voce di chiunque cantare di dolore o gioia”
(Dave Grohl – ex batterista dei Nirvana – al discorso inaugurale del SXSW 2013)
“Aveva un tocco per il quale molti chitarristi ucciderebbero”
(Chuck Berry, in “Kurt Cobain” di Christopher Sandford)
“Guardavo Kurt e pensavo: mio Dio, con la sua musica sarebbe capace di dividere in due un atomo. I Nirvana hanno alzato la temperatura per tutti: il pop preconfezionato non è mai sembrato così freddo quando sono arrivati loro. Sono riusciti a far sembrare tutto il resto ridicolo”
(Bono, a Newsweek)
“Quel ragazzo aveva un cuore”
(Bob Dylan, in “Heavier Than Heaven” di Charles R. Cross)
Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Kurt_Cobain e http://www.rockol.it/news-669367/kurt-cobain-oggi-il-compleanno-cosa-hanno-detto-lui-star?refresh_ce
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