Apre la 13esima edizione della Festa del Cinema di Roma, il secondo lungometraggio firmato da Drew Goddard (già autore di serial cult come Buffy e Lost) che arriva a ben sei anni di distanza da quel piccolo gioiello di genere che era Quella Casa Nel Bosco: “7 Sconosciuti a El Royale”. Facile riscontrare l’influenza del cinema di Quentin Tarantino (ammessa dallo stesso regista) e in particolare del suo ultimo lavoro The Hateful Eight, con gli sconosciuti 7 di Goddard costretti a convivere in spazi stretti e a sfogare i loro più brutali istinti in maniera non dissimile dagli odiosi 8 tarantiniani, ma il cineasta americano ha il carisma e lo spessore artistico necessari per saper divergere dal maestro, e portare il racconto in direzioni impreviste. Fra corpi smembrati da colpi di arma da fuoco a distanza ravvicinata, minacce e umiliazioni psicologiche emerge una disillusa rappresentazione della fine del Sogno Americano, annullato dall’utopico inseguimento a un miglioramento della propria vita con facili mezzi e dal fallimento della cultura hippie e definitivamente distrutto dal tragico conflitto del Vietnam e dalla svolta autoritaria di Nixon.
Se gli spunti sono molto interessanti e lo stesso si può dire anche dello sviluppo delle molteplici sottotrame, portate avanti da flashback e punti di vista sempre differenti, il vero problema dello script e della regia di Goddard è la gestione dei tempi e del ritmo: i suoi dialoghi e i suoi personaggi, pur di buona qualità, non raggiungo mai le vette a cui ci hanno spesso abituato produzioni simili ed è così che i 140 minuti di durata di 7 sconosciuti a El Royale risultano perfino più lunghi delle tre ore del western tarantiniano. Il che non vuol dire che il film sia noioso, affatto, ma semplicemente per molti spettatori richiederà uno sforzo maggiore di quanto si sarebbero aspettati visto il trailer così vivace. I momenti di azione, di violenza e anche i twist narrativi non mancano, ma non c’è forse quella tensione che sarebbe stato lecito aspettarsi. Attraverso il colorato e caldo caleidoscopio che mette in scena sullo schermo, fatto di schegge di vetro, verità, memorie, riferimenti alla Storia (da Nixon in tv e Hoover al telefono, fino a un proto Charles Manson palestrato e un J.F.K. solo evocato e mai nominato), Goddard cerca di ricostruire l’immagine infranta del Sogno Americano, e dell’Innocenza di un paese.
Ottima apertura di questo Festival, andiamo avanti.
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