Il 14 settembre del 2009 Hollywood perdeva un grande attore e un grande artista, oltre che una bravissima persona: Patrick Swayze. Il tumore al pancreas che lo aveva colpito anni prima si fece più aggressivo, fino a portarlo alla morte a soli 57 anni.
Swayze è stato uno degli attori più amati degli anni 80 e 90, grazie a film come Ghost, Point Break ma sopratutto Dirty Dancing. Proprio di quel film, in occasione del 35esimo anniversario dell’uscita, una nuova edizione home video in 4k ha racchiuso alcuni contenuti speciali inediti nei quali possiamo sentire una delle ultime interviste di Patrick. Sul film e sul rapporto con la collega Jennifer Grey, racconta:
Se Jennifer Grey non fosse stata così brava nei panni di Baby, il film non avrebbe funzionato. Aveva puntato sulla confusione che avrebbe una ragazza che cerca di capire chi è. Baby è intelligente, ha un cervello fino, così come la vera Jennifer Grey. Jennifer era riuscita a capire Baby come nessun altro avrebbe potuto fare. La vediamo trasformarsi in una donna favolosa e sensuale. Quando io e Jennifer facemmo il provino per Dirty Dancing, anche noi come persone eravamo in quella fase, ci chiedevamo chi fossimo e chi fossimo come attori. Dovevamo prendere decisioni di vita cercando di capire chi volevamo essere, nella nostra profonda essenza, non solo un attore e un’attrice, ma chi volevi davvero essere. E’ questo che devono affrontare Johnny e Baby. Quando trovi quella connessione con un altro attore, ogni volta è magico.
Sul film e sulle riprese, racconta Swayze:
Ballavamo tutto il tempo senza mai fermarci. Tra una ripresa e l’altra ci esercitavamo. Tutti i ballerini si erano calati in un personaggio, si erano inventati i nomi, entravano nei loro panni, e tutto questo si vedeva sul set.
Prima di girare facemmo un sacco di prove, lavorammo molto. Eravamo a Lake Lure, una piccola cittadina in cui non c’era niente. Io ero concentrato su film e su Johnny, non me ne andai mai. L’hotel era un enorme dormitorio per il cast e la troupe. Emile Ardolino [il regista] era il nostro capo, era un uomo dal gusto eccezionale. Lo guardavo sempre per farmi dire “Così va bene, così no”. Io sono uno con 1 miliardo di idee. Se non ti piace questa ne ho altre 500. Sono pieno di energie ed Emile mi ha aiutato a incanalarle. Eravamo disposti a stare svegli tutte le notti per riscrivere le scene, fare le coreografie, vedere se riuscivamo a sviluppare la relazione e definire la storia in modo tale che diventasse la perfetta rappresentazione di quell’epoca, e se anche non l’avevi vissuta ne venivi catturato. Volevamo ottenere qualcosa che toccasse le persone nel profondo.
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