Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre è un film del 1979 diretto da Michele Lupo.
La pellicola è una commedia fantascientifica interpretata da Bud Spencer e dal piccolo attore Cary Guffey, già noto al grande pubblico per aver preso parte a Incontri ravvicinati del terzo tipo del 1977. Ha avuto un seguito, Chissà perché… capitano tutte a me (1980), diretto sempre da Michele Lupo.
TRAMA
A Newnan, una cittadina della Georgia (Stati Uniti d’America), il massiccio sceriffo Scott Hall non crede ai dischi volanti che tutti vedono nei cieli. Quando troverà un bambino che dice di chiamarsi H7-25 e che sostiene di venire dallo spazio, non gli crede; tuttavia, nel momento in cui questi gli dimostra i suoi poteri paranormali (fa ballare i vecchietti, le giostre si animano da sole, i pesci saltano letteralmente in braccio ai pescatori e altro) inizia a nutrire seri dubbi. Quando poi il capitano Briggs, comandante di una base militare, rapisce due volte il bambino per impossessarsi della sua favolosa arma in grado di comandare a piacimento gli oggetti e le persone, lo sceriffo interviene per salvarlo a suon di scazzottate. Alla fine il bambino viene recuperato dall’astronave del padre, ma decide di tornare per restare con lo sceriffo.
BUD SPENCER” A FINE RIPRESE CORY SI SEPARÒ DA ME CON UN PO’ DI LACRIMUCCE
Nella sua autobiografia Il giro del mondo in ottant’anni Bud Spencer commentava così il film:
“Michele aveva inoltre grandissima pazienza coi bambini: sul set dei due film girati in America sullo sceriffo e l’alieno Cary Guffey, ricordo che prendeva in disparte Cary e gli spiegava la scena con estrema dolcezza, con l’aiuto della mamma che stava sempre sul set. Guffey era arrivato sul set con la tipica arietta da piccolo professionista che hanno tutti gli americani che fanno cinema, in un paese dove il cinema è una cosa estremamente seria (e dove spesso i ragazzini prodigio finiscono rovinati in età adulta).
Un sabato pomeriggio presi Cary e lo portai al parco giochi, col permesso dei genitori. Feci trascorrere un paio d’ore sulle giostre al piccolo, lo dondolai all’altalena, mangiammo il gelato, e gradualmente il piccolo professionista si rivelò per quel che era e doveva es-sere: un bambino. Mi disse anche che quando aveva girato Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg non era mai stato al cinema. Cary era dolce e buffo: con quel suo musetto somigliava un po’ a un piccolo Stan Laurel, col naso a punta e il mento un po’ in fuori. Tornammo all’albergo e passò l’intera serata a raccontare ai genitori tutte le giostre su cui eravamo stati. Ciò che ci serviva per dare verità ai nostri due personaggi di sceriffo burbero e di bambino alieno caduto sulla Terra era proprio quell’empatia affettuosa che all’inizio ci mancava. Alla fine delle riprese Cary si separò da me con un po’ di lacrimucce. I genitori ci dissero che non si era così affiatato nemmeno con Spielberg”
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