Gabriele Muccino tornerà in sala dal 31 ottobre con il suo nuovo film, Fino alla fine. Il regista, ospite al Giffoni Film Festival per presentare il lavoro, ha parlato del suo passato e, parlando di sicurezza stradale, ha raccontato di come una volta fece un incidente quasi mortale:

«Quando siamo alla guida, ci accorgiamo con il tempo quanto sia fragile l’abitacolo in cui si sta e quanto la velocità possa distruggere la macchina». E racconta: «Io un incidente quasi mortale lo feci in Grecia, per una distrazione, porto ancora le cicatrici. Ci vuole un attimo a fare un errore che comprometterà tutta la nostra esistenza». Troppo spesso la distrazione è favorita dall’uso del cellulare alla guida: «Quella del telefono è una delle novità assolute che hanno cambiato un’era».

Nel tempo degli smartphone si ha la sensazione di non poter non rispondere a una telefonata o a un messaggio, «come se scappassero via». Invece, «dobbiamo imparare a maneggiare noi il tempo e a non farci mettere in una condizione di sudditanza. Siamo noi ad avere il controllo del tempo». E insiste: «È presunzione pensare ‘leggo un attimo, tanto vedo’. Quando prendiamo il telefono non stiamo tenendo d’occhio la strada, stiamo abbandonando la nostra visibilità e la nostra reazione. Questo può farci perdere la vita o farla perdere a chi è con noi o dall’altra parte».

Il tema dell’incidente stradale, difatti, torna più volte nella cinematografia di Muccino, da L’ultimo bacio a Sette anime. «Sono ossessionato dalla questione del telefono da sempre. Nella sceneggiatura di Sette anime la storia era quella di un generale della Nasa che si riteneva responsabile di sette morti per l’esplosione di uno Shuttle. Io proposi qualcosa in cui lo spettatore potesse riconoscersi». Da qui l’incidente provocato dalla distrazione alla guida a causa dell’uso del telefono. Muccino racconta: «L’incidente è l’interruzione fatale di un’esistenza. Io ho usato altre volte l’incidente nei miei film. Ho usato spesso le auto come deus ex machina, come elementi drammaturgici che creavano una fatalità, quindi una crisi fortissima all’interno della storia e del personaggio».

Il regista parla anche dei suoi esordi e di come la balbuzie sia stata «il propulsore più importante» per la sua carriera. «Se ho fatto cinema – dice ai ragazzi – è stato perché intorno ai 16 anni balbettavo molto. Il cinema è stato il mio modo per raccontare chi fossi e dare agli altri qualcosa di me attraverso il corpo degli attori».