Annalisa Minetti a 47 anni è ancora è una fonte inesauribile di idee ed entusiasmo, che divide tra sport e musica. La vittoria del Festival di Sanremo nel 1998 rimane per lei una gioia immensa e, magari un giorno, sul quel palco spererebbe di tornarci, come ha raccontato in una recente intervista a Leggo.
Di quei giorni vissuti sul palco dell’Ariston, dice:
«Ricordo l’ingenuità con cui l’ho vissuta. Mai come in quel caso, l’incoscienza mi ha dato la possibilità di gestire le emozioni benissimo. Avevo tanta voglia di dimostrare ciò che sapevo fare, il mio pensiero non era di vincere, quello è arrivato dopo. Io volevo convincere mio papà perché lui, da ispettore di polizia avrebbe voluto per me un lavoro tranquillo e quando gli dicevo che volevo fare la cantante lui mi rispondeva “Sì ma amore come hobby, non come lavoro”. Perciò vincere Sanremo è stata una grande soddisfazione per me e per tutto lo staff che mi aveva portato lì, ma la mia fretta subito dopo la premiazione – in cui tutti mi chiamavano per le foto – era quella di andare da mio papà e dirgli “Hai visto che si può fare?”».
La reazione dei genitori fu commovente:
«Mamma e papà piangevano entrambi. Loro erano in un albergo a Sanremo e videro la mia proclamazione in diretta, che poi Vianello disse “il vincitore” quindi papà pensò “ah ma allora non è lei”, invece, poi, si corresse dicendo “la vincitrice” e il mio nome e ci fu un boato in tutto il ristorante».
Tornerebbe a esibirsi al Festival?
«Sì, mio papà mi chiede sempre quando succederà. Perché poi, facendo sport, ho messo un po’ da parte la musica. La verità è che con l’attività sportiva (Annalisa è pluricampionessa paralimpica, ndr) uno si allena tanto ma il traguardo è quello ed è uguale per tutti, quindi il giorno della gara vince il migliore. Nella musica non è sempre così. Il successo di un brano dipende da tante persone, non solo dall’artista. Bravura, passione, talento non sono, poi, così determinanti. L’emozione di un cantante incide moltissimo sull’esito finale».
Ad agosto ha rilasciato l’ultimo singolo che si intitola “Diversamente pazzesca”. C’è un verso in cui dice “C’è chi non vede veramente” e sottolinea quest’ultima parola. È ancora così difficile parlare di inclusione?
«Sì, “Diversamente pazzesca” è proprio una canzone che, per la prima volta, tratta senza veli quello che penso delle speciali abilità. Tutti parlano di inclusione ma pochi la fanno. Quante persone dicono “Lo sport serve, è utile ecc” poi vai nei parchi e di gente che sa e che tratta la materia non ce n’è? Indicono bandi con la parola “inclusione” ma poi chi la propone davvero non c’è. Bisogna essere competenti, non si può improvvisare. A tutte le persone che sotto i riflettori parlano di inclusione chiedo: come la trattate? Raccontando delle storie, facendole passare per “sfigate”. Perché non ci sono trasmissioni condotte da ragazzi in carrozzina o Sanremo è mai stato presentato da una ragazza non vedente?».
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