Columbus, Ohio, 2045. La maggior parte dell’umanità, afflitta dalla miseria e dalla mancanza di prospettive, si rifugia in Oasis, una realtà virtuale creata dal geniale James Halliday. Quest’ultimo, prima di morire, rivela la presenza in Oasis di un easter egg, un livello segreto che consente, a chi lo trova e vince ogni sfida, di ottenere il controllo di Oasis. È su questo incipit che Steven Spielberg decide di iniziare un ballo innamorato con la cultura pop. Due ore e venti di citazioni, riferimenti, omaggi a tutto ciò che è stato prodotto negli anni 80, e non solo. Lo spettatore medio si ritroverà immerso in un mondo che l’ha cresciuto senza accorgersene, il nerd invece si sentirà a casa. Si perché Ready Player One non è altro che un inno ai nerd, sia a quelli di una volta, che ai nuovi. Il film alterna scene girate in reale, quindi con attori in carne ed ossa, e scene all’interno di Oasis, dove non poteva che non esserci una CGI massiccia per riuscire a ricreare il tutto. Spielberg si diverte, e noi con lui. Si percepisce l’ amore per il Cinema, il suo Cinema, dove riesce brillantemente a muoversi, passargli vicino, accarezzarlo ed andare via. Deliziosa una sequenza bella lunghetta che omaggia un film di Kubrick (a voi la sorpresa). Sarà per i numerosi riferimenti da dover mettere all’interno della sceneggiatura, ma il film non calca mai la mano: non fai in tempo ad apprezzare un richiamo al Batman degli anni 60 che spunta King Kong.
Una giostra continua, per tutta la durata. Stando dentro ad un videogioco, chi mastica il linguaggio videoludico può apprezzare molte chicche e dinamiche in più. Il film purtroppo, non approfondisce a dovere i protagonisti. Ci prova, ma non gli dedica il giusto spazio lasciando parlare troppo le parole (e forse troppi spiegoni) e non abbastanza le emozioni. Gli unici personaggi che arrivano veramente al cuore sono i due creatori di Oasis, il già citato James Halliday (Mark Rylance) e il socio Ogden Morrow (Simon Pegg). Appaiono poco ma sono perfetti. Spielberg quindi non riesce a confezionare un film ben calibrato tra reale e virtuale, passando sopra a certe dinamiche che forse sarebbe stato meglio spiegare non lasciandole al caso, ma alla fine forse va bene cosi. Ready Player One verrà ricordato per la quantità spropositata di richiami ad una generazione passata che ha fatto la storia e alla quale tutt’ora non ci si riesce ancora a slegare, e forse, questa quantità spropositata, soltanto Spielberg poteva dosarla nel modo giusto con amore e limpidezza. Dopotutto, come Biff Tannen su “Ritorno al Futuro” è l’unico che sa come far partire la propria macchina, Spielberg è l’unico che sa come farci sognare ancora parlando di quegli anni, e noi gliene siamo grati.
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