Da alcuni giorni si sta rincorrendo la notizia su diverse testate riguardo a grossi cambiamenti nel servizio televisivo pubblico. Tutto parte dal bilancio fortemente in rosso della Rai, che il 30 giugno 2020 si è trovata con un debito totale di 275,9 milioni (che erano invece 239,1 nel 2019). Stando a quanto riportato da Il fatto quotidiano, per i conti di quest’anno si prevede una perdita di 130 milioni, che potrebbe arrivare a 190 milioni nel 2021. Covid e conseguente crollo della raccolta pubblicitaria non aiutano.
Per un servizio pubblico radiotelevisivo degno di questo nome un canale come Rai Storia dovrebbe essere il fiore all’occhiello dell’azienda, dovrebbe essere portato come esempio positivo e come dimostrazione concreta del buon utilizzo dei soldi del canone dei cittadini. Invece sembra che Rai Storia stia molto più a cuore ai telespettatori che alla Rai stessa.
Dell’ipotetica cancellazione di Rai Storia ha parlato anche Aldo Grasso, che ha firmato, la settimana scorsa, un editoriale sul Corriere della Sera per affermare che Rai Storia è una rete da difendere: “Rai Storia”, ha scritto Grasso, “è l’ultimo baluardo dietro cui Viale Mazzini può giustificare il suo ruolo di servizio pubblico”, domandandosi anche polemicamente se siano servizio pubblico le liti di Ballando con le stelle o un programma come Boss in incognito, e sottolineando che “basta dare un’occhiata ai palinsesti delle tre reti generaliste per accorgersi che la Rai non si discosta molto da una tv commerciale”. La tv, ha concluso Grasso, dovrebbe costituire “un bene culturale ormai imprescindibile; da tutelare, non da sacrificare”.
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