Uno dei gruppi dedicati a Lino Banfi è stato chiuso da Facebook per «incitamento alla violenza». La community si chiamava “Noi che amiamo Lino Banfi official”, e contava 117mila fan di Lino, ma due giorni fa è stata oscurata, per violazioni degli standard del social network in merito a violenza e sesso. Come per tutti i gruppi gli utenti pubblicavano anche spezzoni di film e uno di questi, la celeberrima canzone «E benvenuti a ‘sti frocioni, belli grossi e capoccioni», suonata nel film Fracchia la belva umana è stata bandita dal social in quanto «incitamento all’odio» contro i gay.
L’ideatore del gruppo si è detto molto rammaricato della situazione, Calogero Vignera:
“Grazie a questi video mi sento più vicino a casa. E poi facevamo tanta beneficenza: mettevamo all’asta gli autografi di Lino e destinavamo il ricavato a Croce Rossa, Airc o Komen Italia. Magari può essere stato qualche utente invidioso del successo di questa comunità o può essersi trattato di un attacco mediatico contro Banfi da parte di chi trova “scorretta” la commedia sexy, o possono essere stati gli stessi controllori di Facebook in base alle segnalazioni degli algoritmi».
Lino Banfi, intervistato da Libero.it ha avuto modo di dire la sua sul politicamente corretto a Libero.it:
“Ci stanno togliendo la possibilità di ridere e far ridere, cosa di cui oggi avremmo un gran bisogno», ci confida l’attore. Per questo dico basta agli eccessi del politicamente corretto: con queste azioni sono gli stessi censori a risultare ridicoli e stupidi. Ma davvero credono che dire “Ti prendo le ginocchia e te le metto nelle dita dei piedi” sia un incitamento alla violenza?”.
Banfi entra anche nel merito di una delle scene incriminate, quella sui frocioni.
“Nessun gay», avverte, «si è mai sentito offeso da quella canzone. D’altronde, io ho interpretato più volte la parte dell’omosessuale, in modo divertente, qualche volta esasperato, ma sempre con garbo e tenendomi distante milioni di chilometri dall’omofobia. Pensi che perfino un capo della Polizia mi disse che, ogni volta che doveva consegnare i diplomi ai nuovi commissari, prima di lasciarli andare via, faceva loro cantare quei miei versi”
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