L’attore comico Paolo Rossi è stato intervistato dal Corriere.it dove ha avuto modo di ripercorrere la sua carriera e anche di raccontare qualche suo curioso aneddoto. Ecco le sue parole:
A causa delle sue invettive, lei è stato spesso censurato in tv. Il censore era Silvio Berlusconi?
«Certo! Fui censurato con il discorso di Pericle sulla democrazia ad Atene ripreso da Tucidide, poi con un Molière che non era il “malato immaginario”, bensì il “medico immaginario” e il suo assistente si chiamava Previto: dissero che avevo usato un linguaggio blasfemo, che poi non c’entrava niente la blasfemia, e ci fu una causa… che ho vinto. Infine, venni quasi scomunicato dall’Arcivescovo di Carpi per “Operaccia romantica”, perché considerato sacrilego… Tuttavia, devo dire che l’ex premier per noi comici era una gallina dalle uova d’oro, perché era dotato di una sua comicità involontaria e noi guadagnavamo senza faticare, bastava che ripetessimo le sue battute… un giochetto anche abbastanza umiliante per chi crede nella satira».
Perché?
«Nel caso del Berlusca, la gente rideva, applaudiva e poi lo votava, quindi ti ponevi il problema: forse ho sbagliato bersaglio. Ma la questione non riguarda solo lui: dalla metà degli anni 90, i politici in genere hanno cominciato a capire che gli spettacoli di noi comici li rendevano visibili e ci lasciavano fare. Poi hanno cominciato addirittura a farci i complimenti e persino ad imitarci».
Quale politico si è complimentato con lei?
«Ne voglio ricordare uno tanti anni fa: Francesco Cossiga. Mi arrivò una sua telefonata complimentosa, ma feci finta di non essere io al telefono, perché temevo che, oltre ai complimenti, mi avrebbe sciorinato una serie di suggerimenti su come interpretare meglio la sua parte in scena e avrei dovuto pagargli i diritti d’autore. Invece un politico, autentico genio dell’ironia, era Giulio Andreotti, una specie di Buster Keaton».
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