In una lunga intervista rilasciata a “RollingStone”, Luca Carboni ha raccontato i suoi successi, i suoi insuccessi, la sua ideologia musicale e la svolta della sua carriera avvenuta con la pubblicazione dell’album “Luca Carboni” nel 1987:
“I miei primi due dischi mi avevano messo in una posizione analoga a quella di certi indie dei decenni successivi, erano usciti per una major, ma allora ero meno pop, un po’ outsider, lì infatti me l’ero goduta, c’erano le ragazzine che venivano a cercarmi fuori casa, ma la dimensione era gestibile, non tutti mi riconoscevano per strada, il mio viso non era ancora un poster, mi mescolavo ai ragazzi che venivano a sentirmi. Calcola che sono passato dalle 96 mila copie di Forever nell’85 alle oltre 700 mila di Luca Carboni”.
Artista capace di cavalcare da protagonista la trasformazione della canzone d’autore italiana negli anni ’80 e ’90, Carboni svela i cantanti che lo hanno influenzato:
“Ho cominciato ascoltando la musica dei miei fratelli più grandi, il prog della Pfm, il Banco del Mutuo Soccorso, essendo il penultimo di cinque figli avevo tre fratelli più grandi che ascoltavano musica, c’era chi amava molto i cantautori, chi il pop di Lucio Battisti, io mi sono innamorato di De André, di Guccini, di Dalla e diciamo dei cantautori molto presto”.
Ma Luca Carboni, che domani riceverà il Premio alla Carriera 2021 del MEI di Faenza, cosa pensa del successo?:
“Il successo è una cosa indelebile, ti accade una cosa che ti modifica per sempre, da quel momento in poi apparentemente non sei più così libero di vivere le tue contraddizioni, di colpo diventi qualcosa che ha un valore per gli altri, devi essere in qualche modo un punto fermo per gli altri, hai questo pensiero dentro”.
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