Dopo l’ottima ricezione dei suoi primi film, tra cui La bella vita e Ferie d’agosto, nel 1997 Paolo Virzì si consacra alla regia di Ovosodo, realizzando un’opera molto amata ancora oggi, soprattutto per la sua capacità di offrire uno spacco nostalgico di italianità (anzi, di toscanità in questo caso) degli anni ’90. Nel cast troviamo Edoardo Gabbriellini, Nicoletta Braschi, Claudia Pandolfi, Regina Orioli e Marco Cocci.
«C’ho un coso qui, un magone, come se avessi mangiato un ovo sodo col guscio e tutto. Non va né in su né in giù»
Il film
Segue le vicende del giovane Piero Mansani (Edoardo Gabbriellini), nato a metà anni Settanta in un quartiere periferico di Livorno. Orfano di madre e figlio di un ex portuale che passa più tempo in prigione che a casa, Piero – da tutti chiamato Ovosodo – cresce in mezzo a tante difficoltà, insieme al fratello ritardato Ivano (Alessio Fantozzi), alla matrigna nevrotica e all’inseparabile amico Mirko. Tuttavia, l’unica persona che sembra capirlo veramente è la professoressa d’italiano Giovanna Fornari (Nicoletta Braschi), che lo sostiene e supporta nello studio.
Divenuto un adolescente confuso, Piero inizia a vivere veramente la propria gioventù all’ultimo anno di liceo, quando conosce il ribelle Tommaso (Marco Cocci), anticonformista proveniente da una ricca famiglia che coinvolge Piero nelle sue avventure. Grazie al nuovo amico, il protagonista conosce la bella Lisa (Regina Orioli), di cui s’innamora, senza essere però ricambiato. L’entusiasmo cede di nuovo il passo alla delusione: Tommaso se ne va in America, lasciando Piero solo e amareggiato. Ma la vita non ha finito di riservargli altre sorprese…
Alla base di questa commedia agrodolce c’è il divario tra le classi sociali, molto spesso crudo, oltre che la rappresentazione delle disparità, di mezzi e culturali, tra le varie anime della città: quella popolare e operaia da cui proviene il protagonista e quella upper class e un po’ ottusa in cui sono cresciuti i suoi amici.
In Ovosodo c’è molto del vissuto di Paolo Virzì, nato e cresciuto a Livorno. Nel corso di una recente intervista, il regista ha ricordato con queste parole il film:
È un film del secolo scorso, non so se c’è un ‘attualità, questi film vivono una loro vita. Lo scenario senz’altro è cambiato, il tema che attraversa il film è però eterno: le disuguaglianze sociali, la distanza, l’essere nato dalla parte sbagliata della città. È un film a cui voglio particolarmente bene perché è un pezzetto anche del mio vissuto, della mia infanzia. Quel quartiere, quelle panchine, quei muretti, mi hanno segnato per sempre, è lì che ho imparato a fare a cazzotti. Quei luoghi raccontano la dolcezza e la ruvidezza della vita di un ragazzo proletario.
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