Carolina Castagna, unica figlia di Alberto, ha condiviso con il Corriere della Sera un’intima intervista in cui parla del papà, morto quando lei aveva solo 13 anni. Di quel periodo, ha ricordato i momenti più belli (che vi abbiamo già riportato qua) ma anche quelli più brutti, quando affrontarono la malattia e il ricovero in ospedale.

«Di colpo era sparito. Mamma fu molto onesta. Mi spiegò che non stava bene e che non sarebbe tornato per molto tempo. Che era ricoverato in terapia intensiva, con tanti tubi intorno. Un giorno, in classe, annunciai che era morto. La scuola chiamò subito casa. Non era vero. Mia madre capì che avevo bisogno di vederlo. Smosse mari e monti e ottenne di farmi entrare da lui. Mi vestirono con camice, cuffietta e salvascarpe, mi stava tutto largo. Sembravo il piccolo chimico».

E quando l’ha visto?

«Mi sono spaventata. Soprattutto perché non aveva più i baffi, glieli avevano tagliati, non lo avevo mai visto così. “Senza baffi sembro una melanzana”. Era comunque lui. Dormiva. Mamma mi spiegò che non saremmo potute tornare tutti i giorni. “Gli puoi mandare dei disegni”. “No, lo so cosa desidera papà. Le mie barzellette registrate”. Un nostro gioco. Gli preparai una cassetta. Un giorno poi mi disse che sì, le aveva sentite, non so se fosse vero».

Il ritorno a casa.

«Ho capito quanto fosse fragile. Era magrissimo. I nostri abbracci spigolosi. Dovevo proteggerlo. Ero contenta che fosse di nuovo con noi, ma non era più la stessa persona. Diventai più ansiosa, meno bambina. Costretta a crescere in fretta. Fingeva di stare bene. “Sono l’uomo più forte del mondo”. Avrei preferito che non dicesse bugie, che mostrasse la sua debolezza, ma ognuno in certi momenti fa il meglio che può».

Sette anni dopo.

«Mamma rientrò in lacrime e mi disse che papà non c’era più. Era un martedì. Fino al giorno prima stava bene. Avevamo passato il pomeriggio insieme, mi aveva comprato il cd di Beyoncé. Quando, due anni fa, ho perso anche Stefano, il secondo marito di mia madre, è stata dura. Piaceva moltissimo anche a papà: “Se dovessi lasciarti, so che con lui sei in buone mani”. Da loro ho imparato che più ci si vuole bene tutti quanti e meglio è».

Il vuoto.

«Mi mancava tanto, piangevo. Ero arrabbiata. Avrei voluto più giorni con lui. “Non mi è bastato”. Dopo ho capito che, anche se lo perdi a 80 anni, il tempo passato con un genitore non ti basta mai».

Le manca ancora molto.

«Vorrei sapere cosa pensa, se gli piace mio marito, raccontargli un viaggio, parlargli di politica. Ho avuto una storia con un tifoso della Lazio. Papà era romanista sfegatato. “Chissà come la prenderebbe”. Poi ci siamo lasciati».

La gente le chiede di lui?

«Spessissimo. “Davvero era tuo padre? Ho i brividi”. Mi scrivono su Facebook. Una ragazza mi ha mandato un suo busto di gesso. Da piccola avevo paura di dimenticarlo, annusavo un maglione che conservava il suo odore. Poi ho capito che le persone vivono nel nostro ricordo, che in fondo non se ne vanno mai».

Alberto Castagna, i ricordi della figlia Carolina: “Quando diventai ‘signorina’ fu preso dal panico. Andò in farmacia e tornò a mani vuote”