Spesso riproposto su Cine34 in accoppiata al suo predecessore, Gallo Cedrone, C’era un cinese in coma è il 17° film diretto da Carlo Verdone. Uscito nel 2000, è uno di quei film di Verdone più rivalutati (e più apprezzati) nel corso del tempo.
La trama
Il film racconta la storia di Ercole Preziosi (Verdone), un mediocre impresario che organizza piccoli eventi e sfilate di moda, a capo di un’agenzia quasi al collasso che si occupa del futuro di artisti in decadenza. Se al lavoro le cose vanno male, a casa vanno anche peggio: con sua figlia Maruska (Anna Safroncik) non ha un grande rapporto e sua moglie Eva (Marit Nissen) lo tratta come un estraneo, parlando spesso con la ragazza in russo proprio per escluderlo.
Tutto cambia quando si accorge che l’uomo che da tempo gli fa da autista, Nicola Renda (Giuseppe Fiorello), ha in realtà un talento innato per il palcoscenico, soprattutto per gli sketch comici. Nonostante le perplessità del giovane, la prima serata è un successo, tanto da spingerlo a farne altre e a scegliere perfino un nome d’arte: Niki. Diventato ormai molto popolare in tutte le piazze italiane, Nicola comincia a montarsi la testa, comportandosi come una vera e propria star capricciosa e cominciando a fare uso di droga. Pian piano i ruoli si ribaltano ed Ercole diventa il suo tuttofare. La situazione precipita, però, quando Niki, completamente sull’onda del successo, fa un errore fatale che gli costerà l’intera carriera…
Verdone racconta come venne girata la scena finale
Nel corso di una recente ospitata al Roma Film Music Festival 2024, Verdone ha parlato così del film, in particolar modo della scena finale in cui scelse di inserire il brano di Moby, Porcelain:
La colonna sonora di questo film fu molto buona. Nel finale presi come come musica di repertorio Porcelain di Moby. Sono stato prima io a farlo e poi DiCaprio in The Beach. Vabe, non puoi competere con quei film là, però mi ricordo che avevo capito che era un brano veramente di grandissima atmosfera ed era proprio giusto dopo la barzelletta lasciare un po’ quella malinconia di lui che poi lascia il pubblico guardando in macchina. Quella è stata una delle sequenze più difficili da recitare per me: dovevo raccontare una barzelletta, raccontarla bene e non doverla sbagliare, perché doveva essere l’alba, ma in realtà noi l’abbiamo girato al tramonto. Avevamo 10 minuti di luce perché dopo sarebbe diventata un’altra cosa. Non dovevo sbagliare. La prima l’ho fatta e ho detto: “Posso farla meglio”. Però tutti mi dicevano: “Guarda che l’hai fatta bene”. E io: “No, posso farla meglio”. Ho provato la seconda volta non avevo più lo stesso ritmo della prima, ho provato la terza volta e non avevo ancora neanche più il ritmo della seconda. Ho detto lasciamo la prima, speriamo bene. “C’era un cinese in coma” è stata una delle rare volte che sono riuscito a girare il finale del film alla fine – cronologicamente – delle riprese.
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