Nell’intervista pubblicata dal Corriere della Sera qualche giorno fa, Claudio Cecchetto ha parlato così degli 883, delle loro canzoni e dell’addio di Mauro Repetto.
Quando Repetto andò via rimase solo Max Pezzali. Eppure erano ancora gli 883. La band da dove proveniva?
«Andai una sera nel locale di Enzo Jannacci a Milano dopo l’addio di Repetto. Suonavano gli Elefunky, una band dove militavano Paola & Chiara Iezzi, ma anche Michele Monestiroli e Daniele Moretto. Dopo averli ascoltati proposi loro di diventare la band di Max Pezzali e dunque di trasformarsi negli 883. Poi nel 2002, quella storia poté dirsi conclusa, nel mezzo erano nate anche le stelle di Paola & Chiara. Quindi gli 883 dalla metà degli anni Novanta in poi suonavano dal vivo e non con le basi ed erano una vera e propria band con il loro frontman».
Quale pezzo degli 883 la convinse per primo?
«All’inizio degli anni Novanta “Non me la menare”. Erano tutti a bravi a scrivere canzoni d’amore, appassionate e dolci. In pochi tentavano il successo andando oltre. “Non me la menare” parla di un rapporto tra un ragazzo e una ragazza, due fidanzati, con lui che non ci sta più ad accettare giudizi su tutto quello che fa. Il significato de “La Regola dell’amico” è altrettanto semplice ma la chiave del successo è questa: fatti di vita comuni che però aiutavano gli ascoltatori che si sentivano meno soli a vivere questi piccoli e giovanili drammi quotidiani. Ragazze e ragazzi che avevano bisogno di una canzone spassionata ma vera per ripartire. Il genio degli 883 originò da lì».
«Non me la menare» è una traccia del disco d’esordio «Hanno ucciso l’uomo ragno». Un canzone, un motto che divenne poi un classico
«”Hanno ucciso l’uomo ragno” è una canzone che parla di sogni infranti e disillusione. Molto seriosa. Max e Mauro l’avevano composta a livello musicale in una chiave molto dark. Non è la versione che fu incisa definitivamente in produzione: noi per così dire pulimmo un po’ tutto rendendola un po’ meno severa e più gioviale. C’è un aneddoto di produzione legato al titolo. Quando lo lessi nella scaletta dell’album decisi che quello doveva essere anche il titolo del disco. La particolarità? Non avevo ancora ascoltato la canzone ma soprattutto le altre case discografiche avevano rifiutato il lavoro di Max e Mauro con un pregiudizio negativo. E quel pregiudizio originava proprio dal titolo di quella canzone. “Hanno ucciso l’uomo ragno”. Nessuno scommetteva sul fatto che “la morte dell’Uomo Ragno” potesse diventare una storia di successo, che potesse essere spendibile sul mercato discografico. L’Umo ragno era un eroe intoccabile. Eppure le cose andarono come tutti sanno. Ecco perché dico che bisogna saper scoprire i talenti. E per fortuna, aggiungo, le cose sono cambiate».
Ovvero?
«Ripeto, nessuno prima di me aveva dato retta agli 883 all’epoca. Ed era chiaro che per emergere ti dovevano scoprire. Adesso ci sono i social. E direi che per fortuna c’è Youtube: i giovani possono farsi conoscere al pubblico con pochi filtri, senza qualcuno che decida fin da subito se hanno o meno un futuro».
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