Diego Abatantuono è stato intervistato dal Corriere.it dove ha avuto modo di raccontare alcuni aneddoti del suo passato e anche dei suoi progetti futuri. Uno dei suoi personaggi più importante è ovviamente il terruncello.
Il suo terruncello va per i 45 anni.
«Era un disintegrato che voleva integrarsi, milanese al 100%. Un’iperbole ma esisteva davvero».
È stato a quelle cene che conobbe Arbore che venne poi al Derby a proporle «Il Pap’occhio»?
«Non passavo inosservato. Il mio lavoro in realtà non era fare il tecnico: soffrivo di vertigini, ne soffro ancora, salire su una scala barcollante non faceva per me. Avevo 15 anni, avevo smesso di andare a scuola; i Gatti invece 20, appena finito il liceo. Venivano da Verona, provinciali acculturati, mentre io cittadino ero più smaliziato di loro. Cinque anni con loro, una scuola. Ero il quinto del gruppo. Se tu reggi la tavolata con i Gatti, Villaggio, Renato, sei già a buon punto. Già se riesci a esserci seduto conta: al Derby mi ricordo gente che cercava di intrufolarsi e invece veniva schienata. Sono autodidatta, l’ignorante più colto che abbia mai conosciuto, supero anche Celentano».
E Arbore, dunque?
«Era venuto al Derby, mia mamma Rosa stava al guardaroba. Iniziavo a essere conosciuto, ma non facevo tv, bisognava venire a Milano. Le ha chiesto di me. E lei: “Chi, quello? Ma è un deficiente, lasci stare”. Mi diceva: ma non ti vergogni a dire quelle cose lì? Io ero contento che facessero ridere Cochi, Renato, Beppe Viola, Jannacci. A me interessavano che ridessero loro».
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