Marcello tiene solo a due cose: alla figlia, e ai cani che accudisce con la dolcezza di uomo mite e gentile. Il suo negozio di toelettatura, è fra un Compro Oro e la sala slot di un quartiere periferico che affaccia sul mare, di quelli che esibiscono più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni. L’uomo-simbolo di quel degrado è un bullo locale, l’ex pugile Simone, che intimidisce, e umilia i negozianti del quartiere. Con Marcello, Simone ha un rapporto simbiotico, un po lo yin e lo yang. Garrone decide di creare un’atmosfera senza tempo, dove la storia è svolta in questa Ostia non-Ostia, in un 2018 non-2018, e funziona: in questo modo il film mette in scena un analisi antropologica adattabile in ogni spazio-tempo.
Il regista (come prevedibile) non si lascia attrarre dai richiami affascinanti quanto truculenti della storia da cui è tratto il film (il caso del Canaro della Magliana), di conseguenza se vi aspettate sangue, gore e violenza allo stremo verrete delusi, perché qui la violenza è soprattutto mentale: paura e dignità sono tra i temi principali, ed è delizioso vedere come tutto passa per i protagonisti: straordinari entrambi, sia i personaggi che gli attori. la devozione di Marcello verso una figura forte, la rassegnazione alla violenza psicologica di Simone, la paura nei confronti di un (forse non più o forse non lo è mai stato) amico, fino alla riconquista della dignità dell’uomo, per chiudere sul messaggio criptico, ma neanche troppo, del regista alla fine del film. Qualche nota sparsa: Nicolaj Brüel cura una fotografia coerente, affascinante e mai invasiva o pomposa. Interessante notare come l’utilizzo della musica è praticamente pari allo zero, in modo tale da tenere lo spettatore sempre dentro a questa sporca storia. Matteo Garrone racconta un’Italia diventata terra di nessuno in cui cane mangia cane, complice l’appiattimento culturale e sociale che ha allontanato i cittadini non solo dal benessere ma anche dalla solidarietà umana. Stra-consigliato.
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