Presente a Roma per presentare il nuovo live-action Disney, Tim Burton ha risposto ad alcune domande della stampa prima di ricevere, nella serata di ieri 27 marzo, il David Di Donatello alla carriera.
Ecco alcuni argomenti emersi in conferenza:
Che cosa ci può dire sugli occhi del dolce elefantino?
Poiché si tratta di un personaggio che non parla, le emozioni dovevano essere espresse in modo diverso e la cosa migliore per me era andare alla ricerca di una forma semplice e pura, in un mondo così caotico. La maniera migliore per esprimere queste emozioni era attraverso gli occhi. Ci abbiamo lavorato molto.
C’è un appello per un circo senza animali nel finale.
Pur avendo fatto un film sul circo, in realtà io non l’ho mai amato. I clown mi facevano paura e non mi piaceva neanche vedere gli animali esibirsi. Un animale selvatico non dovrebbe essere costretto a fare cose che non sono nella sua natura. Un po’ diverso è lo zoo, perché magari i bambini possono imparare qualcosa su alcuni animali, ad esempio, che non avrebbero modo di conoscere perché in pericolo di estinzione.
Nessun animale al circo, dunque?
Faccio eccezione per i cavalli e i cani che sembrano divertirsi.
In Dumbo c’è un’importante componente umana.
Nella sceneggiatura ci sono parallelismi tra personaggi umani e Dumbo. C’è sempre il senso della perdita e di assenza, c’è anche chi ha perso il lavoro, un braccio e la moglie. Il disorientamento c’è. Se vogliamo, questo può essere anche una bella analogia con il tema di Dumbo. È anche un modo per esplorare la famiglia nelle sue forme più diverse e non tradizionali.
Ha scritto nella sua biografia: “Con la Disney non ci siamo mai capiti, è stata fonte di depressione”. La libertà artistica stavolta c’è?
Nessuno te la dà, la vita è così. Nelle famiglie c’è del buono, del meno buono… non c’è da fare polemica, così va la vita. Qualcuno può affermare che le vostre famiglie non hanno problemi?
Il cast: la sensazione è che lei sapesse perfettamente a chi affidare ogni singolo ruolo.
Si parlava di famiglia poco fa. Per me era importante lavorare con figure che conoscevo bene, che avevo frequentato in passato. Se ci pensiamo bene il circo è come un film, persone un po’ strane che cercano di fare qualcosa. Pensate che io e Danny DeVito abbiamo fatto tre film a tema circense, ma a nessuno dei due piace il circo!
Come si inserisce la poetica di Burton in un classico Disney? Perché proprio Dumbo?
Perché è quello che più mi permetteva di fare qualcosa di nuovo per una serie di motivi. Non si poteva semplicemente fare un remake di un film datato. Qui si potevano prendere tematiche molto belle e rielaborarle. L’alternativa era Il gatto venuto dallo spazio.
Meglio il Batman con Nolan (saga de Il Cavaliere Oscuro) o con Snyder (ultimi DC)?
Sono entrambi buoni. Io comunque mi reputo molto fortunato per aver potuto lavorare su Batman. All’epoca era una cosa nuova, è stato un privilegio e molto divertente. È chiaro che poi può essere trasformato in qualcosa di più grande, di diverso.
Quanto c’è di computer grafica nel suo Dumbo?
È stato un po’ strano, perché avevamo a disposizione grandissimi attori. Per lo più si è trattato di ricostruire il set, con l’eccezione di alcune scene come quelle con il cielo, fatte con green screen. Abbiamo voluto costruire il set per dare un senso di familiarità e agevolare gli attori.
Il suo lavoro è anche molto tecnologico.
Le cose cambiano, abbiamo a disposizione nuovi strumenti. Le cose tradizionali un po’ mi mancano, è bellissimo il film di animazione di una volta. Resta la passione per la natura tattile di fare cinema.
Il momento più difficile del film?
La sequenza delle allucinazioni. Era strana allora e lo è oggi e doveva restare con sfumature meno da incubo ed ecco le bolle di sapone. Ho mantenuto lo spirito della scena originale ma con un’altra forma.
Soddisfatto?
Finito un film del genere ti senti vulnerabile. Fra tre anni potrete sapere cosa avrei cambiato.
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