Qualche anno fa alla Festa del Cinema di Roma, Edward Norton è stato protagonista di un Incontro Ravvicinato con il pubblico nel quale ha ripercorso la sua carriera, segnata da grandi interpretazioni.
Cresciuto con l’amore per il teatro, Norton fa il suo esordio nel mondo del cinema nel 1996 con con un ruolo che gli valse subito un Golden Globe e una candidatura agli Oscar: Schegge di Paura. Nello stesso anno, prende parte ad altri due film importanti, Larry Flynt – Oltre lo scandalo di Miloš Forman dove indossa i panni di un avvocato e nel musical di Woody Allen Tutti dicono I Love You.
Nel 1998 la sua interpretazione in American History X gli vale grandi elogi, tra cui una seconda candidatura ai premi Oscar, posizionandolo tra gli attori più apprezzati di fine secolo. Consacrazione che ritrova l’anno seguente con Fight Club di David Fincher. Proprio su questo film, che lo vede protagonista insieme a Brad Pitt, Norton ha spiegato come sia stata un’esperienza speciale, che li ha arricchiti molto, che solo David Fincher avrebbe potuto fare in questo modo.
Ecco le sue parole, con tanto di simpatico aneddoto con Brad Pitt:
Ci siamo sentiti davvero vicini al progetto, perché esprimeva cose per le quali ci sentivamo molto connessi, cose personali per noi. Ed è in quest’ottica che avevamo inquadrato il film, per i nostri amici e per noi stessi. Avevamo colto il senso di tutto ciò. Lo abbiamo presentato a Venezia e ricordo una scena con Brad Pitt. Eravamo in una stanza e Brad mi chiese: “Come pensi che accoglieranno il film?” e io risposi “Credo che andrà molto male”, “Anche io” mi risponde, al che si accende una canna e mi dice “Sai che c’è? Fumiamoci su, dai, perché tanto andrà male“.
Fight Club ricevette dei fischi alla presentazione, e anche al box office non andò un gran ché. Dopo un primo momento di dispiacere, abbiamo realizzato però che tutte queste cose in realtà non importavano, non servivano. Perché siamo riusciti a creare un rapporto, un legame con il pubblico per il quale avevamo appositamente fatto il film. Abbiamo capito che loro avevano compreso e così è diventato ciò che volevamo fosse. Quello che conta è l’esperienza artistica profonda che ti lascia un lavoro, molto di più di facili consensi, applausi in sala o successo al botteghino.
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