Enrico Ruggeri  ha pubblicato un nuovo album dal titolo “La caverna di Platone”, un disco di inediti che va ad aggiungersi alla lunghissima discografia analizzata nel dettaglio dallo stesso Ruggeri in “40 vite (senza fermarmi mai)“, autobiografia pubblicata con La Nave di Teseo pochi mesi fa.

Oltre agli impegni in studio, è tornato in televisione con Gli occhi del musicista, trasmissione in onda su Rai 2 cui può fare ciò che ama di più: suonare e dare spazio ad artisti che solitamente dal mezzo televisivo sono esclusi, soprattutto giovani.

Proprio dei giovani ha parlato in diverse interviste rilasciate per la promozione del disco. A TGCom24 dice dell’attuale panorama italiano:

«Mi sembra vivo proprio quello che non ha abbastanza luce. Perché c’è una frangia di persone che scrive palesemente per fare i soldi, per essere passati in radio, per avere hype, eccetera. E c’è una frangia di ragazzi, non esigua, che, come da sempre è stato, scrive perché ha un’esigenza comunicativa. È chiaro che in questo momento la lotta è impari perché quelli della categoria A si sono presi il 98% dello spazio, però il meglio è in quel 2%.»

Però una parte di musica realizzata solo con fini commerciali è sempre esistita. Cosa è cambiato?

Che prima se non altro erano professionali. Quando sono uscite “Fatti mandare dalla mamma” o “Abbronzatissima” nel mondo stava succedendo di tutto, uscivano i Beatles, però quei pezzi li arrangiava Ennio Morricone. C’era una professionalità nella confezione della canzone di facile ascolto che oggi non c’è. Anche se erano naif, erano semplici, però ce le ricordiamo ancora.

A Vanity Fair spiega meglio il suo punto di vista sui trapper, dopo alcune sue dichiarazioni su Tony Effe.

«Ho ascoltato e amato la musica di gente che ha frugato ben più in basso nelle vicende e nell’animo umano, come Lou Reed. Ho letto Bukowski, John Fante… Per me si può parlare di qualsiasi perversione e di qualunque abisso. Ma un ragazzino che ammazza una vecchia è una storia trap? No, è Delitto e castigo. Non è un problema di argomenti, ma di come li racconti, con quali parole. A scandalizzarmi è la povertà del lessico, la miseria espressiva di chi scrive canzoni conoscendo un vocabolario fatto di 200 parole».

«Ma alla loro età io conoscevo tutti i poeti maledetti. Loro no e si vede».

«Non puoi scrivere canzoni se non conosci la lingua nella quale ti vuoi esprimere. Tutto qui. Anch’io scrivevo pezzi arrabbiati, ingenui, però leggevo libri di grandi scrittori che raccontavano un mondo simile a quello che volevo raccontare. Questi non hanno letto neppure il bugiardino dell’aspirina».