Ospite di “Belve”, Fabrizio Corona si racconta, dagli anni di grande successo a quelli passati in carcere. con un un’unica prerogativa, nessun rimpianto ne rimorso. Non mancano i racconti del carcere, in cui riusciva addirittura a farsi ritocchi di chirurgia estetica:
“Sono stato l’unico a rifarsi in tutti gli anni di carcerazione. In questo ambiente destinato alle operazioni, anche un po’ fatiscente, arrivava Giacomo Urtis che iniziava a raccontarmi tutti i gossip che erano accaduti, nel frattempo mi faceva le punturine”.
Undici anni dopo la sua ultima apparizione in Rai, l’ex re dei paparazzi è appena tornato in libertà dopo una vicenda giudiziaria lunga 10 anni, della quale racconta:
“Sui 10 casi che hanno trovato otto volte mi chiamarono loro, anche Trezeguet contattò lui me”.
Per quanto riguarda il sistema della sua agenza fotografica racconta:
“Quando sono arrivato da Lele Mora ero già pazzo, però ero buono e pulito, arrivato da lui ho messo la maschera e sono diventato quella maschera. Ho cambiato il sistema. Io ordinavo quotidianamente ai miei fotografi dove andare e cosa fare per fare scoop”.
Per quanto riguarda l’amore per Belen racconta:
“Nel momento in cui vivi una relazione e questa relazione viene vissuta in tv, sui giornali, adesso sui social, tu quella relazione in qualche modo la sporchi. In tanti fanno la stessa cosa che faccio io solo che non lo dicono. Penso che non amassi quelle donne. La domanda che mi sono fatto: se uno ama veramente le fa quelle cose li? No. Belen per esempio, io ho venduto le foto di noi che facevamo l’amore nudi alle Maldive”.
Ma è quando si è affrontato il tema della malattia genetica di suo figlio Carlos che l’intervista ha toccato il culmine. Fabrizio Corona ha condiviso apertamente il dolore di questa esperienza, rivelando:
“Adesso sta male. Ho lottato per anni e anni, in questo momento sono in una fase molto brutta mia: ho un po’ abbandonato la speranza. Devo ritrovare la forza per ritornare. Ma sai che la vita gli ha dato questo e lo devi affrontare, ci devi convivere.”
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