Gino Paoli è stato intervistato dal Corriere della Sera dove ha raccontato alcuni aneddoti sulla sua carriera in vista della sua autobigrafia in uscita. Ecco un estratto:
L’11 luglio 1963 lei si spara un colpo. E sopravvive. Nel libro cita il suo amico Arnaldo Bagnasco, convinto che lei abbia cercato di uccidersi perché non si è mai perdonato quanto successo il 20 settembre 1962, quando un vostro amico morì in un incidente d’auto, con lei al volante.
«Ricordo che all’ospedale chiesi “gli altri come stanno?” e una suora disse “bene”. Pausa: “Uno è morto”. Lo disse come solo preti e suore sanno affrontare certe cose. Io lì vado in tilt. Arnaldo dice che ho avuto una depressione che mi è rimasta dentro, fino allo sparo. Non so, non sono d’accordo, ma Arnaldo ha vissuto con me da quando avevamo 14 anni… Può essere una spiegazione inconscia. Il fatto è che noi siamo mutanti, i ricordi sono mutanti, ciò che han visto i tuoi occhi a vent’anni non è ciò che ricordi a quaranta. Comunque, quale che siano le motivazioni, sullo sfondo c’è un discorso che vale per molti di quelli della mia età che si sono suicidati: da bambini abbiamo visto bombe, cadaveri, rifugi dove speri di non morire e che fuori poi ci sia ancora una casa, i tuoi amici. Abbiamo avuto questo imprinting, la costante compagnia della morte, lì con te, finché non muori davvero».
Per il suo gesto si era parlato di delusioni amorose. Lei ha ridimensionato questa ipotesi.
«Io ho fatto quello che ho fatto perché mi sembrava di aver avuto tutto, era un atto contro la monotonia della vita. Uno sbaglio enorme, la vita è piena di sorprese. Ma non lo sapevo allora, in quel momento lì avevo tutto, soldi, donne, tre macchine…».
FONTE CORRIERE
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