È uscito al cinema l film incentrato sulla controversa vita della pattinatrice su ghiaccio Tonya Harding, interpretata da Margot Robbie, protagonista nel 1994 di uno dei più grossi scandali sportivi degli Stati Uniti d’America: “I, Tonya”. Tonya Harding è come l’America, o la ami oppure no. Il film invece non si può non amare. Tanti elementi crude e violenti ma lavorati con toni leggeri sopra un grottesco tappeto. “I, Tonya” visto senza aspettarsi un’identità di genere, è un film che spiazza e spezza tutti i confini con il cinema. Sembrerebbe nel primo tempo un falso film controcorrente, sembrerebbe nel secondo tempo un’opera sull’epica famigliare che strizza l’occhio al miglior Scorsese. Gioca con i formati, e lo fa benissimo. I, Tonya può essere definibile come una “giostra cinematografica” alla stregua di “American Hustle”. È la miglior prova attoriale di Margot Robbie, che mette in scena una Tonya bella ma non bellissima, entrando perfettamente in sintonia con la visione del regista. Una super colonna sonora e una frizzantissima regia, mettono in scena una storia malata, ma in linea con la dimensione che crea: la sceneggiatura offre solo una visione parziale, viziata e compromessa dall’inattendibilità dei soggetti e dall’incoerenza delle loro affermazioni. Eppure è una versione che, come tutte le visioni parziali, contiene un germe di autenticità, una possibilità che noi figli della cultura del dubbio e del garantismo ci siamo dimenticati di considerare. È cosi che ti lascia “I, Tonya”: confuso si, ma anche con un forte senso di tristezza e compassione nei confronti della protagonista. Consigliato, anzi, consigliatissimo: questo è il bel cinema.
Circa l'autore
Massimo Bulgarelli
Operativo su più fronti, anche troppi: filmmaker, musicista, autore e romanista. L'ultima mansione è la più stressante. Ammiro i sequel disgraziati, adoro i film di Mario Bava, ascolto solo Sergio Caputo e amo i tempi comici di De Sica.
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