Undicesimo film della coppia Bud Spencer – Terence Hill, “Io sto con gli ippopotami” uscì nel 1979 diretto da Italo Zingarelli, su un soggetto di Barbara Alberti, Amedeo Pagani e Nino Longobardi. Si tratta di uno dei film del duo comico più amati dai fan, forse perché, diversamente dal solito, oltre alla comicità è presente anche una morale di stampo ecologista, dato che racconta la storia di due cugini ambientalisti che lottano per salvare gli animali da un bracconiere senza scrupoli.
Trama
Rhodesia, anni 50. In Africa per lavoro, il burbero Tom (Bud Spencer) organizza safari di caccia per turisti preoccupandosi però di fornire loro armi caricate a salve per far sì che gli animali, che ama molto, non rischino nulla. Lui e il cugino Slim (Terence Hill) sono stati cresciuti da una donna africana dopo che i loro genitori sono morti ma Slim è assente, all’inizio del racconto; con il suo ritorno inatteso, la situazione si movimenta fino a quando la strana coppia di cugini non decide di acquistare un nuovo pullman per safari e mettersi in società. In realtà è solo l’inizio dei loro guai perché ben presto entra in scena un trafficante di animali e avorio, Jack Ormond, i cui intenti cozzano con quelli dei due protagonisti…
Un pugno che fa tremare
Vi raccontiamo una curiosità: Bud Spencer pseudonimo di Carlo Pedersoli, era incredibilmente miope. Proprio per questo, finì per prendere a pugni veramente il grande Joe Bugner (di cui vi raccontiamo bene la storia qui) durante le riprese della loro super scena di combattimento.
Infatti, Bud Spencer calcolò male la distanza di un gancio destro che avrebbe sferratto su Joe: così il suo pugno colpì la mascella di Bugner (Ormond) con tutta la sua forza. Un duro colpo sicuramente ma per fortuna Joe, da ex pugile, riuscì a “digerirlo” meglio di come avrebbe potuto fare una comparsa.
L’intervista di Giuseppe Pedersoli
All’interno di questa nostra intervista, il figlio di Bud, Giuseppe Pedersoli, ci ha raccontato anche che tipo di esperienza fu per il padre quella di questo film, a causa dell’apartheid che non aiutò l’umore dentro e fuori dal set:
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