Nel corso di una lunga ed esclusiva intervista concessa a Vanity Fair, Isabella Ferrari ha parlato del suo presente, del suo passato e del suo futuro, aprendosi anche ad aspetti personali della sua vita di cui non aveva mai raccontato prima. Dalla depressione che la colpì dopo il successo di Sapore di Mare, al nuovo film che sta girando, direttamente ricollegabile al cult del ’83 diretto da Carlo Vanzina.

L’attrice, 55 anni, sta attualmente girando sulla riviera romagnola il film Sotto il sole di Riccionescritto da Enrico Vanzina per la regia del duo Younuts!. Il progetto fa parte dell’accordo Netflix-Mediaset ufficializzato settimane fa, ovvero sarà uno dei sette film italiani a rientrare nella partnetership dei due colossi, e sarà possibile vederlo dapprima su Netflix e poi in chiaro su Mediaset 12 mesi dopo.

Sotto il sole di Riccione parlerà di “un gruppo di teenager in vacanza sulle affollate spiagge di Riccione, tra i quali nascerà subito amicizia ma anche problemi di coppia, storie d’amore e appuntamenti”. 

Leggendo la trama è inevitabile fare un collegamento con il film estivo per eccellenza degli anni ottanta, Sapore di Maregirato tra l’altro da Carlo Vanzina, fratello di Enrico. La stessa Isabella Ferrari ne ha parlato nel corso della sua intervista. 

 

«Sto girando Sotto il sole di Riccione, scritto da Enrico Vanzina e diretto dal duo Younuts. Non si può certo considerare un sequel di Sapore di mare. Però a me piace pensare che lo sia. Perché interpreto il ruolo che fu di Virna Lisi. E perché finalmente questa volta mi fanno fare la parte della vecchia. Una liberazione. Perché oggi sono più tranquilla. Sul set. Nella vita. In tutto».

L’attrice nata in provincia di Piacenza ha raccontato nel dettaglio gli anni vissuti dopo il successo che la inondò con Sapore di Mare. All’epoca aveva solo 19 anni e tutta quella popolarità improvvisa e strabordante le creò non pochi problemi. 

«Subito dopo l’uscita di Sapore di mare», racconta a Vanity Fair, «ho conosciuto la depressione. Non ero pronta a quel successo. Quando scendevo per strada, tutti mi chiamavano Selvaggia, non potevo più fare nulla da sola. Ricordo che avevo l’abitudine di andare in chiesa, per me cresciuta a Piacenza era normale entrare in parrocchia, era il nostro riferimento. Insomma, entro in una chiesa di Roma e il giorno dopo escono le foto su un giornale scandalistico travisando le mie intenzioni. Ero una bambina. Una bambina travolta dal successo. Ero arrivata a Roma coi soldi della Prima Comunione e della Cresima, tre milioni di vecchie lire. Mi muovevo con una 112 azzurra usata e iniziavo a guadagnare bene. Ma nonostante tutto ero infelice e turbata. Capivo che non riuscivo più a gestire la situazione. E i paparazzi. E i produttori. Dovevo fare qualcosa. Andai in analisi. Di quel periodo ricordo di aver lavorato molto sui miei sogni. Il sogno più ricorrente era di venir travolta da un tram, da un autobus mentre attraversavo piazze immense. Col tempo, ho imparato ad accettare il mio destino, un destino di tram e autobus che mi avevano travolta. La svolta, però, arriva sempre quando capisci che sei tu a poter disegnare un destino tutto tuo. Io ci sono riuscita osando. Soprattutto col mio corpo, strumento che all’inizio avevo vissuto come un limite alla mia intelligenza o al mio talento. Il mio corpo è servito come un racconto. Della violenza dell’uomo sulla donna. Dell’amore del maschio per la femmina. Per narrare le donne che si separano, che sono troppo magre, che hanno bisogno di essere raccontate. Di fronte a una grande storia, di fronte a un grande regista il mio corpo è diventato una tela bianca su cui proiettare tutto. Senza se e senza ma».