Jackie è il ritratto di una donna emblematica e allo stesso tempo enigmatica. Ma è anche una riflessione sulla fede, la storia, il mito e la perdita.

Jacqueline Kennedy aveva solo 34 anni quando suo marito venne eletto Presidente degli Stati Uniti nel 1961. Elegante, piena di stile ed imperscrutabile, divenne immediatamente un’icona in tutto il mondo. Il suo gusto nella moda, negli arredi e nelle arti fu oggetto di numerosi documentari girati all’interno della Casa Bianca e la figura di Jackie, divenne, ben presto, un modello da imitare.

Poi, il 22 novembre 1963, l’evento focale che ha scosso l’America e il mondo intero: durante un viaggio a Dallas per una campagna elettorale, il Presidente J.F. Kennedy viene assassinato a bordo di una macchina che trasportava i due consorti. L’abito rosa di Jackie, seduta accanto al Presidente, si impregna di sangue.

Shock, terrore, lutto. In seguito all’attentato, un susseguirsi di eventi dolorosi attendono la signora Kennedy, non appena mette piede sull’aereo per tornare a Washington. Consolare i suoi due bambini, lasciare la casa che aveva restaurato con grande fatica e pianificare le esequie di suo marito. Il tutto con la consapevolezza di avere gli occhi del mondo intero puntati addosso e che le azioni di quei giorni sarebbero state decisive nel definire non solo l’immagine e l’eredità storica di John. F. Kennedy, ma anche come lei stessa sarebbe stata ricordata.

La storia raccontata in “Jackie”, che porta la firma di Pablo Larrain (“Il Club”, “Neruda”), è strutturata e raccontata attorno ad un’intervista rilasciata dalla signora (ex) Kennedy ad un giornalista del “Life Magazine” una settimana circa dopo gli eventi di Dallas. Partendo da una citazione della stessa Natalie Portman, “[…] questo è un film biografico che non dà risposte. Lo spettatore lo deve ‘ingestare’ e digerire da sé. Anche dopo la visione resti frastornato, senza parametri veri e propri.”

Frastornata e spaesata, sì. Così sono uscita dalla sala, finita la visione. Frastornata dalla straordinaria bravura di Natalie Portman, capace di dar vita a un personaggio molto, ma molto difficile, con una gamma di sfumature complesse da decifrare, che vanno dall’essere un’icona di stile ed eleganza, all’essere una mamma premurosa fino all’essere una vedova che ha assistito al brutale assassinio del marito, nonché Presidente degli Stati Uniti. L’attrice israeliana naturalizzata statunitense, alla sua terza candidatura Oscar (già vinto nel 2011 per l’interpretazione nel “Il cigno nero”) è perfetta nel trasmettere l’inquietudine e l’enigmaticità della Jackie ideata da Larrain. Peccato per l’elevata concorrenza di questa edizione degli Oscar, dove non parte favorita nello scontro con Emma Stone. 

Menzione speciale anche alla colonna sonora, soprattutto all’intro di Mica Levi (disponibile all’ascolto in fondo all’articolo) un quartetto d’archi potente, spaventoso, triste e malinconico allo stesso tempo. 

Nel film possiamo anche godere dell’ultima apparizione di John Hurt, l’attore inglese scomparso qualche settimana fa per un tumore, che in “Jackie” interpreta il prete al quale la First Lady fa affidamento dopo la morte del marito.

In conclusione, film consigliato, ben fatto, che sposta l’attenzione dall’assassinio di JFK in sé e per sé (trito e ritrito da pagine di storia e altre pellicole) ad un punto di vista diverso, un’angolazione femminile chiamata ad assimilare il fatto.

https://www.youtube.com/watch?v=PjS5h1iRruQ