Il 5 aprile del 1994, esattamente 30 anni fa, moriva Kurt Cobain. Il cantante leader dei Nirvana aveva 27 anni e si tolse la vita con un colpo di pistola. Nonostante abbia avuto una vita davvero breve, Kurt intraprese una travagliata storia d’amore con Courtney Love dalla quale nacque la loro bambina Frances Bean Cobain. Proprio nel giorno del 30esimo anniversario della morte, la ragazza ha scritto una lettera al padre che ha poi pubblicato sul proprio profilo Instagram.

30 anni fa la vita di mio padre è finita. La seconda e la terza foto immortalano l’ultima volta che siamo stati insieme quando era ancora vivo. Sua madre Wendy mi premeva spesso le mani sulle guance e mi diceva, con una tristezza cullante, “hai le sue mani”. Le respirava come se fosse la sua unica possibilità di tenerlo un po’ più vicino, congelato nel tempo. Spero che stia tenendo le sue mani, ovunque esse siano. Negli ultimi 30 anni le mie idee sul lutto hanno subito una continua metamorfosi. La più grande lezione appresa attraverso il lutto, per quasi tutto il tempo in cui sono stata cosciente, è che serve a uno scopo. La dualità di vita e morte, dolore e gioia, yin e yang, deve esistere l’una accanto all’altra, altrimenti tutto questo non avrebbe alcun significato. È la natura impermanente dell’esistenza umana a gettarci nel profondo della nostra vita più autentica. A quanto pare, non c’è motivazione più grande per sporgersi nella consapevolezza dell’amore che sapere che tutto finisce.

Avrei voluto conoscere mio padre. Avrei voluto conoscere la cadenza della sua voce, come gli piaceva il caffè o come ci si sentiva ad essere rimboccati le coperte dopo una storia della buonanotte. Mi sono sempre chiesta se avrebbe catturato girini con me durante le afose estati di Washington, o se avesse profumato di Camel Lights e di nesquik alla fragola (i suoi preferiti, mi hanno detto). Ma c’è anche una profonda saggezza nell’aver accelerato il cammino verso la comprensione di quanto sia preziosa la vita. Mi ha dato una lezione sulla morte che può arrivare solo attraverso l’esperienza vissuta della perdita di qualcuno. È il dono di sapere con certezza che quando amiamo noi stessi e coloro che ci circondano con compassione, apertura e grazia, il nostro tempo qui diventa intrinsecamente più significativo.

Kurt mi ha scritto una lettera prima che nascessi. L’ultima riga recita: “Ovunque tu vada o ovunque io vada, sarò sempre con te”. Ha mantenuto questa promessa perché è presente in tanti modi. Che sia ascoltando una canzone o attraverso le mani che condividiamo, in quei momenti riesco a passare un po’ di tempo con mio padre e lui si sente trascendente. 

A tutti coloro che si sono chiesti come sarebbe stato vivere accanto alle persone che hanno perso, oggi vi penso. Il significato del nostro dolore è lo stesso.

 

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