Usa Anni ’70. Jack è un serial killer dall’intelligenza elevata che seguiamo nel corso di quelli che lui definisce come 5 incidenti. La storia viene letta dal suo punto di vista che ritiene che ogni omicidio debba essere un’opera d’arte conclusa in se stessa. Questa è la trama di “La casa di Jack“, l’ultima fatica di Lars von Trier, tanto discussa. Il film si presenta come un horror “filosofico”. Lo stesso Von Trier lo definisce il più violento tra i suoi film. Ma non aspettatevi la prevedibile messa in scena delle atrocità perpetrate da un assassino. Piuttosto, La Casa di Jack è il sussidiario illustrato della disperazione umana. La stupidità delle vittime, la frustrazione dell’omicida, schiavo della sua mente malata: tra questi due estremi, Von Trier riscrive le regole dell’horror, descrivendo il bisogno d’amore come la più grottesca delle pulsioni umane. Nel personaggio di Matt Dillon, il regista mette il peggio di sé, mettendoci il carico pesante, ma anche la sincerità con la quale persegue un perverso disegno artistico che si rifiuta di seguire le regole della morale comune.
E a quel personaggio, contrappone quello di Bruno Ganz, che poi è sempre lui, la sua coscienza, che bacchetta, consola, inorridisce a seconda dei casi. E che serve a denudare, a togliere sovrastrutture a mettere un personaggio e un uomo davanti allo specchio lasciandolo libero però di esercitare il suo arbitrio. Non a caso quel personaggio si chiama Verge: che sì richiama Virgilio, ma che in inglese vuol dire limite, limitare, orlo. Jack sogna di essere un architetto criminale, un grande costruttore. I riferimenti musicali, architettonici o pittorici, sotto forma di immagini d’archivio sono inserite per illustrare le riflessioni di Jack e Verge, anche con estratti dei suoi film precedenti. Ci vuole molto coraggio per realizzare un film del genere e possiamo facilmente immaginare la sofferenza che ha dovuto sopportare LVT durante la scrittura e le riprese, immerso nella testa di un serial killer. Questo disagio colpisce anche lo spettatore, comunque affascinato dalla bellezza malsana del film. La nota più dolente del film è la durata: con una mezz’ora in meno sarebbe stato meglio. “La Casa di Jack” è sicuramente violento, forte, crudo; lo è però nei limiti del vero. Non è esageratamente sconvolgente, come voleva esserlo Pasolini in “Salò” o come un film di serie B. Certamente però, non aspettatevi un film per famiglie.
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