Remo Girone è stato intervistato dal Corriere della Sera dove ha raccontato alcuni aneddoti sulla sua carriera, ecco un estratto:
Nella realtà, ha mai pensato a un uomo che potesse somigliare a Cariddi?
«Ce n’erano, e ce ne sono, tanti come lui: con “La piovra” era prima volta che in uno sceneggiato si affrontava il problema della mafia dei colletti bianchi. Comunque, impersonandolo, non mi sono ispirato a persone reali, semmai ho cercato di entrare nella mente di un tipo del genere, non fare finta di esserlo, esserlo davvero, per risultare credibile».
Durante le riprese della fiction, lei è stato colpito da un tumore, non per finta, ma davvero…
«Lavorare e combattere con la malattia non è stato facile. Dopo essermi operato, dovevo fare della chemioterapia e i produttori della fiction volevano interrompere il contratto, sostituendomi con un altro personaggio simile. Andai a reclamare, accompagnato dal mio avvocato, ma poi fu mia moglie a sfornare una brillante idea. Siccome stavamo girando la nona serie, propose al regista di farmela chiudere in anticipo con una bellissima scena e di riprendermi nel cast per la decima serie, dopo aver terminato le mie cure. Così è stato: il tumore guarito e Tano Cariddi di nuovo in pista. Aggiungo che, in un altro momento del mio percorso, sono pure caduto in depressione».
A cosa fu dovuta?
«Ero stato scelto da Luca Ronconi per fare un suo spettacolo. Avevo già lavorato con lui, ma mi resi conto che non ero adatto al ruolo che mi proponeva, non ce la facevo e il regista mi sostituì. Mi crollò il mondo addosso, pensavo di aver sbagliato tutto nella mia vita. Per curarmi, ho fatto psicoanalisi per anni, mi sono imbottito di psicofarmaci, la depressione andava e veniva, finché mi capita di interpretare un personaggio nel tv-movie “La brace dei Biassoli”, tratto dal romanzo omonimo e autobiografico dello psichiatra e scrittore Mario Tobino. Victoria colse al balzo l’occasione, gli telefonò e prese un appuntamento per me, ho trascorso un pomeriggio intero con lui, parlammo a lungo e alla fine della sua analisi sentenziò: smettila di prendere psicofarmaci così pesanti, ti distruggono la personalità e non andare più dall’analista… puoi farcela da solo. E aveva ragione, così è stato».
fonte CORRIERE
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