«Celebriamo questa ricorrenza perché queste tragedie non accadano più». Quaranta anni fa, il 10 giugno 1981, Alfredino Rampi, un bimbo romano di soli sei anni, fu inghiottito da un pozzo artesiano a Vermicino, vicino Frascati, in provincia di Roma, a pochi metri dalla casa di famiglia. Sprofondò prima a 36 metri, poi fino a 60 metri di profondità. La foto in bianco e nero di quel bambino sorridente, con una canottiera a righe, i suoi lamenti, il battito sempre più flebile del suo cuoricino sono impressi nell’immaginario collettivo dei 21 milioni di telespettatori che quaranta anni fa seguirono in diretta tv la vicenda notte e giorno, col fiato sospeso.
L’Angelo
Eppure, da quel pozzo di Vermicino che il 10 giugno 1981 ha inghiottito Alfredino, Angelo Licheri, il soccorritore volontario sardo che ha rischiato la vita, rimanendo sospeso a testa in giù per 45 minuti per tentare di salvare il piccolo di 6 anni, è uscito 40 anni fa. Senza il bambino. Grazie ad un’intervista a Tgcom24, il 76enne racconta la sua vita 40 anni dopo la tragedia di Vermicino e ripercorre quei momenti di speranza e delusione.
“Vorrei che questa tragedia restasse nel cuore di tutti. Per me è impossibile scordarla, penso ad Alfredino in ogni momento. Al tempo, una volta arrivato li per offrirmi volontario, vedendo che il buco del pozzo era stretto, mi sono tolto tutti i vestiti e sono rimasto in canottiera e mutande, scalzo. Ho indossato l’imbracatura e mi hanno fatto scendere. Mi hanno dato qualche raccomandazione su come fare. Ho continuato la discesa fino a quando non mi sono imbattuto in una roccia, lì non passavo. Con uno stratagemma, ho sorpassato la roccia, che però mi ha tagliato la pelle dei fianchi e delle spalle, come un macellaio taglia la carne.“
Gli ultimi attimi
Poi ha raccontato di quando arrivò da Alfredino:
“Una volta arrivato da lui, mentre facevo tutte manovre per aiutarlo, lui ascoltava e rantolava. Gli promettevo tante cose in quei momenti: che gli avrei comprato la bicicletta nuova e che sarebbe stata migliore di quella dei miei 3 bambini, piccoli come lui (il più piccolo aveva la sua età più o meno); che l’avrei portato a pescare. Insomma, cercavo di incoraggiarlo in tutti i modi. E quando smettevo di parlare, lui rantolava perché voleva che continuassi. Dopo tanti tentativi falliti, perché lui era incastrato come se una ventosa da sotto lo trattenesse, era impossibile continuare. Però era rimasta un’ultima speranza, la maglietta che indossava. Ho provato ad arrotolarla un po’, a prenderne il più possibile. Anche questa, però, ha iniziato a cedere. Non c’era più nulla da fare. Così, gli ho mandato un bacino e gli ho detto “Ciao piccolino“. Poi, con un tono disperato, intimavo ai soccorritori di tirarmi su. Una volta tornato in superficie, mi hanno portato in ospedale per le ferite. Sono stato ricoverato per un mese.“
Angelo nel 2021
Raccontandosi oggi invece dichiara:
“Oggi il diabete mi ha causato una gravissima infermità. Ho perso una gamba e non vedo più. Abito in una casa di riposo per anziani a Nettuno. Mi mantengo con la pensione e la vita scorre, pur con le sue difficoltà. Sono tornato parecchie volte sul luogo. Con i genitori di Alfredo siamo sempre in contatto. Ci sentiamo una-due volte al mese, però non parliamo mai della vicenda.“
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