Lorenzo Coveri, professore dell’Accademia, è stato intercettato da Il Corriere della Sera per commentare i testi del Festival di Sanremo 2025 e il giudizio non è estremamente positivo. «Canzoni piatte, voti piatti. Mi adeguo. Forse sarà anche colpa del fatto anche quest’anno ci sono sempre gli stessi 11 autori per due terzi dei brani: tutta questa omogeneità porta a un appiattimento generale. Ormai è una tendenza al Festival…».
Tra i giudizi positivi, quelli a Brunori Sas e Lucio Corsi. “Brunori Sas letterario, con immagini sofisticate, figure retoriche di livello. Interessante, intimo, autobiografico, nel parlare della gioia e della responsabilità di mettere al mondo una figlia”. Ma anche Lucio Corsi: “Il testo più fresco di tutta la rassegna: 9 anche a lui. Usa immagini inattese, giovanilismi e gergo in modo intelligenti, l’ironia”, un po’ a sorpresa Shablo: “Originale, esce dai binari”.
«Il testo peggiore? Quello dei Modà. Versi pesantissimi, lunghissimi, più che una canzone sembra la predica di un prete. Convivere con il senso di che sarebbe stato / parlare di coraggio quando sai che non lo hai avuto… siamo al limite dell’incomprensibile. Fa cadere le braccia. Ma anche Marcella Bella…».
«Poi abbiamo dei rapper che si adeguano al tono medio e mainstream della kermesse, per niente trasgressivi: il famigerato Tony Effe canta una stornellata che non fa male a nessuno. Tutto il resto – l’80% delle canzoni – viaggia su un linguaggio familiare popolare e colloquiale, ormai lontano dal vecchio stile della canzonetta».
Non passano l’esame Francesco Gabbani (“senza infamia e senza lode”), Elodie (“testo pessimo, come se parlasse a telefono. Prosa di una banalità sconcertante”) e poi c’è Fedez: “Diamo 6 a un testo deprimente che parla di depressione, si salva qualche giochetto di parole sui nomi dei farmaci, poi rime discutibili come carne viva. Cita Mary Poppins col cianuro al posto della pillola che va giù. Mi cadono le braccia”.
“Il fatto che i testi di Sanremo contengano un numero ridotto di lessemi, che ricorrono molte volte, non è di per sé indice di un basso livello qualitativo sul piano linguistico anche se, certo, viene voglia di mettere in rapporto questo dato con la povertà lessicale delle ultime generazioni, che viene spesso lamentata e che certamente un fondamento”. Lo afferma il linguista Paolo D’Achille all’Adnkronos.
“Né sorprende la classifica delle parole più spesso ricorrenti: che ‘amore’ – ha continuato – sia anche quest’anno la più frequente non stupisce, come non stupiscono le alte posizioni di ‘occhi’ e, più distanziate, di ‘vita’ e di ‘cuore’; e neppure la prevalenza di ‘mamma’ più ‘madre’ su padre (papà manca del tutto). Molto probabilmente la stessa cosa è avvenuta già in molte edizioni precedenti, se non proprio in tutte – spiega il presidente dell’Accademia della Crusca – Appena più significativo è il primato, tra i verbi, di ‘chiamare’, che ormai da decenni si usa invece di ‘telefonare’ (oggi dallo smartphone, certo)”.
Nelle coppie avverbiali e pronominali che vengono confrontate, il fatto che “mai” prevalga su “sempre”, “niente” su “tutto”, “male” su “bene”, “solo” su “insieme”, sostiene il professor D’Achille, “sembra effettivamente indicare un orientamento dei cantautori (o dei parolieri) verso atteggiamenti pessimisti più che ottimisti, ma bisognerebbe vedere i contesti d’uso, le distribuzioni delle parole tra le diverse canzoni (che opportunamente viene rilevata nel caso di ‘cuoricini’, le cui occorrenze si concentrano nel testo della canzone dei Coma Cose). Forse, più che il dato quantitativo, sarebbe importante il dato qualitativo, che consideri cioè le parole che, anche se documentate da un unico esempio o da due, costituiscono delle presenze inattese in canzoni festivaliere”.
Commenti recenti