«Una grande tristezza, se ne va una parte enorme di me». Così Marino Bartoletti ha commentato la morte di Suor Paola, volto noto della televisione per aver partecipato la programma Quelli che il calcio.
Bartoletti è uno dei “creatori” non di suor Paola, che c’era già, ma del suo personaggio legato al tifo per la Lazio, ben sapendo che dietro l’immagine televisiva c’erano una suora vera e un grande spessore umano di impegno e lavoro per le persone in difficoltà.
«Non ricordo esattamente come arrivammo a lei, ma quando rileggo gli identikit che avevo scritto immaginandomi le figure adatte a una sorta di versione televisiva di Tutto il calcio minuto per minuto, mi rendo conto di aver “disegnato” persone come suor Paola, una religiosa di grande umanità che la domenica fa il tifo per la sua squadra e per il resto della settimana profonde il massimo impegno nella sua missione, e come Idris, un extracomunitario, tifosissimo, ironico e colto, prima di sapere che esistessero Suor Paola e Idris».
«Lei era perfettamente allineata alla nostra maniera leggera di raccontare il calcio e la vita: aveva la spontaneità e l’ironia giuste, ma sapeva sempre incanalare la sua visibilità e il suo divertimento nella sostanza di una vita spesa al servizio degli altri: sicuramente aveva dovuto mettere dell’impegno nel convincere la sua superiora delle Suore Scolastiche di Cristo Re a permetterle di partecipare a qualcosa di molto insolito come una trasmissione Tv ironica che parlava di calcio, ma mi aveva raccontato che ci era riuscita spiegando che “La provvidenza ci è sempre vicino, ma se le diamo la possibilità ci aiuterà ad aprire sempre più porte” Andavo a trovarla quando passavo a Roma, nel bel convento trasformato in casa della carità, molti di noi ci andavano perché ci sentisse vicini nella sua opera, e lì incontravo una straordinaria donna, instancabile e sempre impegnata in opere di grande valore sociale».
Le critiche e le incomprensioni non le mancarono:
«Mentre la sua madre superiora le diede il permesso altri nel mondo cattolico la criticarono, senza capire quanto quella visibilità fosse funzionale ad amplificare la sua capacità di fare del bene al prossimo. Oggi, dai messaggi che mi stanno travolgendo, però mi rendo conto che in un mondo divisivo come il tifo, che è quasi una certificazione di inimicizia, suor Paola, che navigava oltre, sapeva unire. Uno mi ha appena scritto: “Sono romanista, ma la amavo tanto”, i riscontri mi dicono che al netto di qualche diffidenza iniziale, la gente le ha voluto bene, pur avendo capito non più di un decimo della sua santità».
Bartoletti l’ha salutata anche su Facebook:
«Addio Suor Paola, sorella cara! Lo so che è poco originale, ma non mi viene in mente nient’altro se non che con te se ne va un ennesimo pezzo terribilmente importante della mia vita.
Sei stata una donna straordinaria (Dio solo sa – e chi se no? – quanti siano stati i tuoi meriti sfuggiti ai più). Quando ti “scoprimmo” (perché una figura simpatica e allo stesso tempo generosa come la tua era perfetta per l’idea pulita che volevamo dare del calcio) aderisti con entusiasmo al nostro progetto. Nella tua gioiosa modernità – sempre abbinata al rigore della tua missione – capisti che quella era una strada importantissima per aiutare chi si era affidato a te: e cioè le ragazze madri coi loro bambini, le vittime di violenza che vedevano nella tua materna tenacia un barlume di speranza. Per averti in trasmissione occorreva il permesso della madre superiora delle Suore Scolastiche di Cristo Re: lo ottenesti facendo valere come sempre la tua determinazione e spiegandole – parole tue – che “grazie alla televisione la Provvidenza avrebbe potuto trovare più porte aperte”. E così fu, anche se molti rappresentanti di altri ordini ecclesiastici si misero di traverso. Ma tu eri un treno: e sono certo che questo treno continuerà a correre con la forza del tuo esempioSei stata uno dei primissimi “personaggi” ad entrare stabilmente nella famiglia di “Quelli che il calcio”. E ci resterai per sempre!Come per sempre resterà nel mio cuore il tuo sorriso».
Ripensando a quel modo di raccontare il calcio, oggi che il mondo sembra uno stadio di sole curve, Bartoletti riflette:
«Sarebbe abbastanza difficile ripetere quella magia, noi abbiamo fatto il nostro e penso che lo abbiamo fatto bene: con lealtà e amicizia abbiamo dato del calcio un’immagine leggera che ne era la nostra interpretazione, forse non del tutto realistica. Oggi il calcio si è deteriorato ancora e non credo sia un caso: c’è molta interdipendenza tra calcio e mondo, si rispecchiano, e, come dice Michele Serra, oggi è il mondo a essere pervaso da un “ultraismo” da cui non si esce, che permea e polarizza tutte le discussioni».
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