«Non si viveva poi così bene in Italia, non ci hanno lasciato cambiare niente… e allora gli ho detto… avete vinto voi, ma almeno non riuscirete a considerarmi vostro complice… così gli ho detto, e son tornato qui…»
È uno dei film più iconici del cinema italiano, una piccola perla generazionale dalla trama semplice, ricca di malinconia, indimenticabile chiusura della “trilogia della fuga” di Gabriele Salvatores (Marrakech Express (1989), Turné (1990) a cui si aggiunse un anno dopo Puerto Escondido, diventando di fatto una quadrilogia). Mediterraneo ha compiuto 30 anni lo scorso anno ed è ricco di aneddoti e ricordi, tra cui, ovviamente, quel prezioso premio Oscar vinto nella categoria Miglior Film straniero nel 1992.
La trama, tratta dal romanzo Sagapò di Renzo Biasion, ruota intorno alle vicende di otto militari italiani che, nel giugno 1941, al termine della campagna italiana di Grecia, sbarcano su una piccola isola del mar Egeo, con il compito di stabilirvi un presidio. Oltre al tenente Raffaele Montini, un insegnante di latino e greco al ginnasio appassionato di pittura, che li comanda, tra i soldati troviamo il rude sergente maggiore Nicola Lorusso, il suo “assistente” Luciano Colasanti, i fratelli Libero e Felice Munaron, che, originari delle Alpi venete, non hanno mai visto il mare, il montanaro Eliseo Strazzabosco, maestro di sci, il disertore Corrado Noventa, che scrive continuamente alla moglie, e il più giovane di tutti Antonio Farina. I soldati si rivelano assolutamente inadatti all’attività militare, ma finiranno per trascorrere su quell’isola dimenticata da tutti tre anni, fraternizzando con i locali e dimenticandosi della guerra.
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Le riprese
Mediterraneo è stato girato sull’isola greca di Castelrosso (Kastellorizo), a est di Rodi, nel Dodecaneso. Il regista e il cast hanno raccontato come abbiano girato diverse isole prima di trovare l’ambientazione perfetta: a bordo di un’ape-car, girovagavano in cerca di un ambiente spoglio, quasi disabitato, in cui si potesse girare il film in tranquillità e dove le condizioni climatiche fossero ottimali. Dopo vari tentativi, finalmente trovano l’isola di Castelrosso, semi distrutta dalla guerra, con pochi abitanti e una pista d’atterraggio scavata vicino a una grande montagna (la stessa che si vede durante le scene delle partite di calcio).
«Era la vigilia della partenza e c’era rimasta da vedere solo l’isola più lontana, Kastellorizo – ha ricordato Diego Abatantuono in un’intervista al Corriere -. Il tempo stringeva, eravamo tentati di lasciar perdere. Invece salimmo su un aeroplanino da paura, una caffettiera praticamente, e atterrammo verso sera nello spazio aperto in cui poi fu girata la scena della partita. In un istante, alla luce di un magnifico tramonto, trovammo tutte le location: dalla casa di Vassilissa ai fortilizi militari. Tornammo su un traballante traghetto di terza mano, probabilmente costruito sul lago di Garda, con la certezza di aver fatto centro».
La troupe di Mediterraneo era composta da una quarantina di persone, che si fermarono a Kastellorizo per due mesi. Il sindaco di allora, Nikos Karavelazis, ricorda che tutta l’isola era stata coinvolta nella lavorazione del film. «Molti di noi facevano le comparse. Altri lavoravano per preparare il set. Altri ancora hanno messo a disposizione le barche per trasportare cibo e utensili da Rodi, che dista più di 70 miglia nautiche, o dalla Turchia»
L’atmosfera sul set era quella di una grande famiglia unita, di un gruppo di amici che si divertiva ogni giorno, con un copione in costante cambiamento. «Ogni sera per distrarci andavamo a giocare a calcio-tennis davanti alla chiesa – ricorda sempre Abatantuono -. Quando la palla finiva in acqua gli abitanti di Kastellorizo si trasformavano in raccattapalle e si tuffavano per recuperarla».
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