Dani ignora l’ennesima chiamata di aiuto della sorella bipolare, rassicurata in questo dal fidanzato Christian. Christian vorrebbe rompere con Dani, ma non sa come dirglielo. Quando purtroppo le peggiori paure sulla chiamata si rivelano fondate, è troppo tardi per intervenire. Christian decide quindi di invitare Dani a partecipare al viaggio organizzato dall’amico Pelle in un curioso villaggio svedese, per effettuare studi antropologici e insieme svagarsi nel festival che celebra il solstizio d’estate. 

 

C’è una netta contrapposizione nel film, tra la cupezza del prologo e il resto del film. L’incipit americano si giova di atmosfere notturne che alimentano un clima ansiogeno, lo stesso in cui vive la protagonista, mentre i paesaggi svedesi sono immersi nella luce abbacinante dell’estate, quando il sole cala soltanto per un paio d’ore. Un film su cui non tramonta mai il sole. Eppure l’orrore può crescere anche qui, senza sfruttare il favore del buio, dove è più inatteso, evidente e quindi più terrificante. 

Midsommar cerca di cambiare tutte le carte dell’horror, cerca di fare qualcosa di molto diverso partendo però dalla stessa tensione che di solito nelle storie dell’orrore porta alla paura. Come Hereditary, Midsommar non esita a prendersi i propri tempi: 140 minuti, per l’esattezza, e al netto di quell’atmosfera subdolamente malsana che c’è sin dall’inizio, la transizione verso l’horror comincia seriamente verso metà film. Ma è un orrore diverso, meno diretto rispetto all’opera precedente di Aster. Il film alla paura non ci arriverà mai, volutamente, preferisce mettere quella sensazione ad un altro uso che tuttavia non è ugualmente soddisfacente. È molto molto difficile dire che un film realizzato bene come Midsommar sia un fallimento, che un film così perfetto nel mettere in pratica le sue intenzioni, così preciso nel ritrarre i suoi personaggi e così meticoloso nella realizzazione sia una delusione, ma è evidente che alla fine si rimane con l’amaro in bocca per tutto quel che poteva essere e non è stato.