Neffa torna con un nuovo album rap «Canerandagio parte I» e per l’occasione ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera, ecco un piccolo estratto:

Rap, ma non trap.

«La amo molto in realtà, da produttore mi capita spesso di cimentarmici. Ormai è un passaggio generazionale obbligato: ai tempi di Goethe per diventare adulto dovevi fare il grand tour dell’Europa, oggi devi farti quattro anni di trap».

Da artista ha avuto molte vite. La sua è un’inquietudine musicale o anche personale?
«Ho sempre cercato un senso in tutto, a costo di soffrire. Temo la prevedibilità: se vedo un binario davanti a me mi innervosisco, ho bisogno di orizzonti liberi. Sicuramente con alcune scelte ho perso. Quando ho iniziato a cantare ho avuto un ritorno pessimo, molti partivano con un pregiudizio nei confronti della mia musica. Avevo esigenza di cambiare: dell’hip hop mi piaceva l’aspetto artistico, ma non l’aderenza ai dogmi da puristi. Così ho cercato un mio modo per fare pop».

Come in «La mia signorina», con cui nel 2001 debuttò da cantante: dedicato alla marijuana, fu scambiato per un brano d’amore e nessuno lo censurò.
«Ero fissato con gli esercizi di stile e i messaggi impliciti, ma nessuno capì il sottotesto. Neanche i miei fan, che mi massacrarono, convinti fosse una banale canzoncina su una ragazza. Così svelai il mistero, anche se per anni mi sono divertito a confermare e poi negare che parlasse di cannabis, a seconda del contesto».

fonte CORRIERE