Pippo Baudo ha compiuto 85 anni. Lo storico volto della televisione italiana ne porta sulle spalle oltre sessanta di carriera, di cui ha parlato a fondo in una nuova intervista al Quotidiano Nazionale. Dopo essersi soffermato sulle sue origini siciliane, ha poi parlato dei suoi storici colleghi della televisione degli anni d’oro, Corrado, Mike Bongiorno e Enzo Tortora.
“La provincia è una grande forza. Sono di Militello, un piccolo paese, poi sono andato a Catania dove ho lavorato in qualche teatro. Ma Catania era ancora troppo piccola, non mi bastava. Così ho fatto un patto con mio padre: se mi fossi laureato, avrei avuto un mese per stare a Roma. La partenza è stata tristissima, mia madre piangeva, mio padre la consolava dicendole: “Non preoccuparti, torna subito“. Invece non sono più tornato”.
Con Corrado, Mike, Enzo Tortora, lei faceva parte dei quattro moschettieri della tv italiana. Che rapporto aveva con loro?
“Per Tortora avevo grande stima, ma non c’era molta amicizia, perché lui si considerava un giornalista prestato alla conduzione. Corrado aveva un’ironia pungente, cercava sempre la battuta sfottente. Con Mike invece c’è stata una vera, grande amicizia. Anche se avrebbe avuto tutti i motivi per detestarmi. Allora faceva La Ruota della Fortuna, la trasmissione andava così bene che il Tg5, che la seguiva, spesso batteva il Tg1. Il direttore del Tg1 mi chiamò, disperato, chiedendomi di trovare un rimedio. E io inventai Luna Park, che ebbe un grande successo. Così grande che La Ruota dovette chiudere”.
Non manca poi una lunga parte dedicata a Sanremo, che lo ha visto al timone per tantissimi anni:
Di tutti i Sanremo che ha condotto, quale ricorda con maggior piacere?
“Quello che ebbe due vincitori, Simone Cristicchi e Fabrizio Moro. Quando sentii le loro canzoni rimasi colpito perché erano diverse da tutte le altre. Speravo vincessero, ma non erano certo i favoriti. Quando il notaio mi telefonò per comunicarmi i voti, sono materialmente svenuto dalla felicità.”
Qual è il giorno che vorrebbe rivivere?
“Quello del primo Festival, nel 1968. Mi scelsero perché l’anno precedente era morto Luigi Tenco. Mike Bongiorno, che conduceva la trasmissione, liquidò sbrigativamente la cosa: “Come sapete dai giornali“, disse agli spettatori, “ieri è morto il cantante Luigi Tenco“. Non disse altro. Alla Rai non gradirono quel suo modo sbrigativo e decisero di cambiare. Così Gianni Ravera chiamò me, in modo del tutto inaspettato. Ricordo tutto di quell’edizione, ricordo anche che, salendo le scale del Casinò dove allora si svolgeva il Festival, a metà mi dovetti fermare. Mi mancava il respiro. Ero oppresso dall’ansia. Invece tutto andò bene”.
Compresa l’esibizione di Louis Armstrong.
“Dopo aver eseguito il suo brano Ciao, il gruppo che lo accompagnava, tra cui anche Franco Cerri, gli giocò uno scherzo. Attaccò When the Saints e lui cominciò a suonare e a cantare. Rischiava la squalifica. Ravera mi prese per un braccio: “Fermalo!“, mi ordinò. Così salii sul palco e gli strappai la tromba dalla bocca. Solo un incosciente avrebbe potuto farlo. Tre giorni dopo incontrai Armstrong alla Rai di Milano. Mi fissò e mi disse, gelido: “Fuck you!“”.
Lei ha avuto grandissimi ospiti internazionali. Come faceva a convincerli?
“Compravo una pagina su Billboard, con su scritto soltanto ‘Sanremo Festival’. Pensavo che gli americani ci sarebbero cascati, e infatti ci cascarono. Vennero Bruce Springsteen, Madonna, Whitney Houston al suo debutto televisivo. Oggi è diventato un festivalino”.
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