Rita Rusic si è raccontata in una nuova intervista a Il Corriere della Sera, dove ha ripercorso tutta la sua vita, dai primi anni vissuti nell’Istria jugoslava, all’infanzia passata come profuga insieme alla famiglia, l’incontro con il suo futuro marito Vittorio Cecchi Gori, il successo da produttrice, fino al rocambolesco divorzio che separò per sempre le loro strade.
Sull’incontro con Cecchi Gori, racconta:
Arriva prima l’incontro col cinema o con Vittorio Cecchi Gori?
«Facevo la modella, studiavo Medicina, andavo sempre in un ristorante dove andava anche l’assistente di Adriano Celentano. E lì iniziarono a girare Asso , con Celentano e Edwige Fenech, e conobbi Vittorio, che m’invitò subito a un festival a Buenos Aires. Non andai».
Lui le piacque?
«Come bellezza, no, ma era simpatico, mi faceva ridere, ed era un po’ infantile, anche se aveva 18 anni più di me. E mi lusingava che fosse produttore e mi avesse scelta per corteggiarmi».
Girò una manciata di film, poi lasciò. Perché?
«A Vittorio non piaceva che facessi l’attrice, ma neanche che andassi all’università, in palestra… Ho fatto tre anni di accademia drammatica e studiato inglese, spagnolo, fatto palestra, tutto a casa. Lui era molto possessivo, io molto giovane e abbastanza stupida: mi sentivo gratificata dalla sua gelosia. Molto presto, ho iniziato ad andare in ufficio con lui, non volevo stare a casa e volevo capire cosa fa un produttore. Alcuni interlocutori erano imbarazzati dalla mia presenza, ma Vittorio era fermissimo. Diceva: se parli con me, parli anche con lei».
Nei 18 anni in cui è stata la signora Cecchi Gori, non ha mai dato un’intervista, eppure, negli anni ’90 esplode una «Rusic Mania», è la scopritrice di talenti, arrivano premi, copertine.
«Forse la crisi con Vittorio inizia quando, ricevendoci, l’ambasciatore francese disse: l’allieva che supera il maestro. Capii subito che era la fine. I litigi cominciarono dopo la cover di Lady Ciclone, su Sette. Lui iniziò a soffrire il mio successo, come se togliesse qualcosa a lui. Era come dire: è brava la moglie, non lui. Non era vero. Forse come produttore ero più brava io, mi piaceva lavorare col regista, gli sceneggiatori… Ma come imprenditore lui aveva più visione. Io non vedevo competizione, ma compensazione. Lui, invece, iniziò a considerarmi una nemica, non più la donna che eravamo partiti con due film all’anno ed eravamo arrivati a farne 60. Ormai avevamo la Fiorentina, Tmc, case ovunque, aerei privati, andavamo su barche da un miliardo di lire al mese. Era una dimensione non normale e anche le tensioni erano fuori dall’ordinario».
La separazione fu rissosa e con interventi dei carabinieri.
«Fu orribile. Ricordo quando lessi nello sguardo di Vittorio che per lui non contavo più niente. Sentii che mi voleva annientata».
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