Il film
Grandissimo cult degli anni ottanta, Vacanze in America è considerato una delle avventure oltreoceano meglio riuscite di tutto l’operato di Carlo Vanzina. Uscito nel 1984, ha seguito le orme del successo del suo predecessore Vacanze di Natale, sempre diretto da Vanzina e nel quale figurano alcuni degli stessi attori protagonisti, tra cui Jerry Calà, Claudio Amendola, Christian De Sica e Antonella Interlenghi.
La trama
La storia è quella di un gruppo di studenti della scuola cattolica San Crispino che parte da Roma alla volta degli Stati Uniti per una vacanza di due settimane, accompagnati dall’insegnante don Rodolfo da Ceprano, conosciuto da tutti come “don Buro” (De Sica) e da un anziano sacerdote.
l’aneddoto di De Sica
Così racconta De Sica in un passaggio del suo libro Figlio di papà, del 2008, riguardo un’esperienza durante le riprese:
“Una sera mentre eravamo tutti in hotel, io mi ritirai nella mia stanza andando a dormire mentre gli altri inauguravano una competizione di acrobazie erotiche e cavolate varie nelle altre camere. Sentivo tutto e una serata piacevole con gli amici era virata in un incubo. Mentre loro si divertivano con quelle ragazze, suona il telefono nella mia camera e, in un italo-americano degno de Il Padrino, una voce roca, bruciata da 1000 sigarette, mi dice: “Sei Christian? Sei De Sica? Sono Gambino (ndr – probabilmente Tommy, il figlio di Carlo). Ero un amico di Tuo Padre. Ti vuoi divertire questa notte?”
Mi avrebbe fatto giocare cinequemila dollari di fiches a nome suo.
Dico: “Guardi Gambino, la ringrazio tantissimo ma no“. “Ero molto amico di papà“. “Guardi, io domani mattina mi sveglio purtroppo alle cinque perché dobbiamo fare un complicato cameraCar quindi vado a dormire presto. La ringrazio tanto.“ Era Gambino, il Boss malavitoso, quello vero. Il giorno dopo abbiamo fatto le riprese e poi siamo ritornati a Los Angeles per continuare il film. Ho conosciuto solo per telefono questo Gambino, che diceva di essere amico di papà e che mi voleva far perdere nei vizi. Pensate se avessi accettato. Magari quando fosse venuto a Roma mi avrebbe chiamato ordinandomi: “Adesso tu mi porti fuori. Non l’ho mai più sentito, per fortuna.”
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