Ha compiuto 40 anni Vado a vivere da solo, il film d’esordio di Marco Risi (regista di Soldati, Mery per sempre), nonché il primo film in cui Jerry Calà riveste un ruolo da protagonista assoluto. Prima di quella pellicola, Calà era apparso al fianco di Bud Spencer in Bomber mentre l’anno dopo avrebbe avuto il suo grande exploit con Sapore di mare e Vacanze di Natale.
Vado a vivere da solo, la trama
Giacomino, studente fuoricorso ventiseienne, assediato da due genitori fin troppo disposti alla benevolenza, decide di farsi regalare per il suo compleanno i soldi per andare a vivere finalmente da solo, così da potersi sentire “libero” in tutti i sensi. Trovata una malconcia mansarda in palazzo senza ascensore comincia la sua vita da scapolo pieno di speranze gaudenti, immediatamente frustrate dall’invadente signor Giuseppe, suo ex vicino di casa cacciato dalla moglie. Giuseppe comincia una maldestra opera di erudizione sessuale di Giacomino, ma presto arriva tra loro Françoise, una bella francese alla “ricerca dell’uomo giusto”. La ragazza non si accorge dell’amore che Giacomino nutre per lei, ed ha inizio così una serie di disavventure che culminerà nel matrimonio finale tra Giacomino e Françoise, i quali, sfrattati dalla mansarda per il ritorno del padrone di casa, andranno a vivere in una tenda su una terrazza milanese.
Un ritratto sociale
In uno dei suoi lunghi post Facebook, estrapolati dalla sua autobiografia, Jerry Calà ha parlato dell’origine del titolo del film e di quanto quel tema, l’andar via di casa, fosse attuale all’epoca.
«[…] Tutto era nato dal titolo del film. Io ho fatto molti film partendo proprio dal titolo, senza una riga di sceneggiatura, senza un preventivo dei costi, senza niente. Solo un titolo che però è come una fotografia. Bistrattati dai critici al tempo della loro uscita, molti dei miei film hanno un pregio: sono delle vere e proprie istantanee del momento storico in cui sono stati girati. Ho quasi sempre girato film pop, ma vi assicuro che farlo non è facile. È molto più comodo girare i film cosiddetti «impegnati» che non raccontare storie in cui il pubblico possa riconoscersi. Il segreto è solo uno: non perdere il contatto con la società. Io sono sempre attento a quello che succede nel mondo, sono curioso, parlo, interrogo, mi informo. Così nel 1982 mi accorsi che i ragazzi italiani erano percorsi da una nuova fibrillazione. Dopo anni di mammismo e di permanenza nel nido dei genitori – tendenza che purtroppo è tornata ai giorni nostri – era scoppiata la voglia di andare a vivere da soli, o comunque di andare fuori casa, unendosi a un paio di amici con cui dividere le spese dell’affitto. L’importante era avere la propria indipendenza. In un mondo che diventava sempre più colorato e senza orari, l’imperativo era solo uno: ho detto, due punti, voglio andare a vivere da solo, punto.
Non era facile nemmeno allora, perché erano in pochi ad affittare, e chi lo faceva chiedeva cifre da furto. Se n’era accorto anche Mogol, che scrisse per Battisti una canzone – Il monolocale – che poi abbiamo incluso nella colonna sonora del film […]
L’unica speranza era l’aiuto di quegli stessi genitori da cui si fuggiva, come spiega la celebre e fulminante battuta che rivolgo ai miei genitori disperati mentre sono nel letto della mia cameretta, circondato dalle foto (vere) della mia infanzia: «Intendiamoci, i soldi… me li date voi!» Dalla battuta alla realtà. Con in mano solo un titolo legato a una vaga idea è difficile andare dai produttori e dire che con quel titolo voglio fare un film, ma che… i soldi me li date voi!»
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