Guido Nicheli nasce a Bergamo il 24 Luglio 1934. Dopo il diploma lavora come odontotecnico nelle studio medico dentistico del cugino, impiego che manterrà fino alla fine degli anni Ottanta nonostate la popolarità conquistata. Negli anni Sessanta arrotonda lo stipendio lavorando come rappresentante di liquori ed entra così in contatto con la vita notturna milanese, in particolare quella che gravita attorno allo storico locale Derby.
La nascita del Dogui
Qui conosce Stefano Vanzina, Teo Teocoli e Renato Pozzetto, amici di una vita. Per gli amici è Dogui, soprannome che è l’anagramma del suo nome: semplice semplice come spiegazione. Tra le amicizie più celebri quella con il pittore spagnolo Salvador Dalì, di cui è stato spesso ospite a Cadaques. Era pur sempre un signore che proveniva dalla povertà. In più aveva perduto il papà da piccolo, e l’assenza di un padre contribuì a fargli maturare l’idea che nella vita bisogna farsi da sé, sviluppando una forte indipendenza. Quindi tutt’altro che una persona superficiale, anche se poteva sembrare così vedendolo nei film, o nelle serate in Costa Smeralda dove a un certo punto appariva sul palco, dispensando pillole di «doguismo» agli astanti.
Il ricordo dei Vanzina
Così ricordano il grande Guido i fratelli Vanzina, attraverso il loro libro “Carlo ed Enrico Vanzina: artigiani del cinema popolare” del 2018. Vi riportiamo dei passaggi interessanti, che ci mostrano il Dogui sotto un altro aspetto:
“Guido era divertente perché dava tutto in un momento breve. Sarebbe stato stucchevole come protagonista nei nostri film. Se la macchina da presa l’avesse seguito tutto il tempo avrebbe stufato. Come lui sapeva stufare nella vita. Dovevi prenderlo a piccole dosi…Guido è comunque molto presente nella nostra filmografia e vuol dire tanto. Significa che lui dava molto e che molti gli volevano bene. Ci sono romani che sanno a memoria tutte le sue battute e a ogni proiezione dei nostri film tutti parlano come lui.”
Il ricordo di Calà
“Abbiamo lavorato spesso insieme, il grande Dogui e io, e lui era sempre quello che stava sopra di me, il mio spauracchio, il mio superiore, il cumenda che pretende o, come in Yuppies, il mio direttore. Tra noi c’era un’intesa automatica nella recitazione. Guido è stato uno dei più grandi caratteristi italiani, benché sfruttato poco per colpa del solito snobismo cineromano. Nell’ambiente dei cinematografari terrazzari c’è sempre qualcuno che prima o poi, quando sente un nome, dice: «No, quello basta, è morto», e gli altri gli vanno dietro. Io sono contento di aver permesso al Dogui di fare un’ultima interpretazione poco prima della sua scomparsa. In Vita Smeralda – film del 2006 da me diretto e interpretato – faceva il capitano di una barca che io noleggiavo per ospitarvi un russo così casinista da far degenerare la situazione. E, ancora una volta, Guido se la prendeva con me!
Eravamo davvero molto amici, e ci frequentavamo spesso. Lui aveva una filosofia particolare: tutti gli esseri umani sono animali e lui è il pesce-pilota. Era un grande quando stilava la sua classifica delle cose più importanti: al primo posto la mamma, al secondo gli spaghetti.“
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